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Mps: chi se la compra?

La banca è una vera public company ma è difficile trovarle un partner italiano. Un problema in più per Renzi

"Una scadenza di tempo per vendere una banca? Macché, è una bufala che solo gli eurosauri potevano inventarsi. Ma in questo caso, non c’è mai stata: il 26 luglio era una data invalicabile per indirizzare il futuro del Monte verso un’aggregazione, non per trovarla. Magari!": non vuole firmarsi, l’azionista senese che sfoglia la margherita dei suoi troppi capitali investiti in Rocca Salimbeni (li ho persi? li recupero?) perché ce l’ha con gli eurosauri, cioè i burocrati della Bce, e col governo italiano ed è antigienico metterci la faccia.

"Già in aprile Alessandro Profumo e Fabrizio Viola dissero chiaro e tondo che avevano avviato la ricerca di un partner, lo stanno cercando ancora. Insieme con gli advisor. Adesso, uscito Profumo, arriverà Massimo Tononi, a cercare anche lui. Si accomodi. Ma non basta nessun Tononi a trovare un compratore, senza svendere".

Dunque gli ottimi dati semestrali che il cda varerà giovedì 6 agosto non sono sufficienti per rendere attraente il Montepaschi per un qualsiasi fantomatico compratore. La banca ora va benissimo, ma ha sul gobbo 46 miliardi di sofferenze, sia pur coperte al 50 per cento: troppe per chiunque.

Non lo sarebbero per le grosse popolari che la riforma-diktat di Matteo Renzi ha messo in gioco: ma per ragioni diverse né il Banco popolare di Verona né la bergamasca Ubi (peraltro impegnate anche in trattative incrociate per fondersi tra loro) sono pronte alla bisogna. Per cui tra Mps e banche ex-popolari che finiranno sul mercato borsistico senza azionisti di controllo, un buon quarto del mercato creditizio italiano è in cerca di nuovi padroni. E per ora non li trova.
"Arriveranno senza essere chiamati, perché prima o poi accadrà" conclude il malpancista senese "e allora, come farà il governo italiano a giustificare uno stillicidio di istituti bancari che, passo dopo passo, trasferiscono il controllo in mani straniere?".

Già: gli stranieri. Che del resto sono già forti in Mps: con l’americana Fintech al 4,5 per cento, Btg Pactual al 3, Axa quasi al 4, Alken oltre il 4, i cinesi al 2... Ma – salvo i primi due, che hanno un patto, sia pur debole, con la Fondazione – sono tutti in ordine sparso. E non sembrano desiderosi di crescere.

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Sergio Luciano