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Economia

Mezzogiorno: le aziende attive e i buoni segnali di ripresa

Automotive, aerospazio, Apple, energia: così si crea impiego e ricchezza anche al sud

Federico Pirro è docente dell'Università di Bari. Su Panorama.it parla di Sud e delle potenzialità di un territorio spesso denigrato ma ricco di molte ricchezze

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Nessuno ne parla ma sono forti i segnali di ripresa che continuano ad avvertirsi ormai da mesi anche in diverse aree del Mezzogiorno, smentendo così clamorosamente tutti coloro che avevano descritto un Sud ormai alle soglie della desertificazione industriale.

E invece sono proprio alcuni comparti manifatturieri che registrano picchi di produzione che consentono così a diversi impianti localizzati nel Mezzogiorno di trainare la ripresa di quegli stessi settori a livello nazionale. Nell’automotive, ad esempio, il 2015 appena conclusosi ha rappresentato per alcuni grandi siti della Fiat Chrysler un anno di svolta profonda, resa possibile sia dai nuovi investimenti che vi si erano concentrati e sia, naturalmente, dall’andamento del mercato.

A San Nicola di Melfi, nel Potentino, nella fabbrica della FCA - la 2° d’Italia per numero di addetti diretti che raggiungono le 8.000 unità, cui si aggiungono quelli dell’indotto di primo livello che superano i 3.000 occupati - lo scorso anno sono state prodotte 390mila vetture rispetto alle 123mila del 2014, con un incremento del 217%, così suddivise: 180mila Jeep Renegade, 120mila 500X e 90mila Punto, 3 modelli in buona misura destinati all’esportazione.

Invece ad Atessa in Val di Sangro in provincia di Chieti - ove è in esercizio un altro grande stabilimento dell’automotive rappresentato dalla Sevel, una joint-venture fra Fiat e Peugeot per la costruzione del veicolo commerciale leggero Ducato - ne sono stati prodotti 260.800 esemplari, un vero record, rispetto alle 229.750 unità del 2014, che erano state a loro volta il record precedente.

Ma anche a Pomigliano d’Arco sono state costruite 177.026 Punto, pari al 9,42% in più rispetto al 2014, quando già si era registrato un incremento del 7% nei confronti del 2013. In ognuna di queste fabbriche erano stati già realizzati, o sono stati avviati, investimenti aggiuntivi per la produzione delle nuove vetture, o per l’incremento di quelle già assemblate sulle rispettive linee: 800 milioni a Pomigliano e 1 miliardo a Melfi già spesi, 700 milioni invece avviati ad Atessa.

È il caso anche di ricordare poi che questi stabilimenti alimentano le forniture di robuste supply chain di piccole, medie e grandi fabbriche non solo del Nord, ma anche di Campania, Basilicata, Abruzzo, Molise e Puglia, ove lavorano per i tre siti di assemblaggio della FCA a Pomigliano, Melfi e Atessa, non solo altri impianti dello stesso Gruppo, come ad esempio quelli della Magneti Marelli, ma anche fabbriche di big player italiani ed esteri come - solo per citarne alcuni - l’Adler di Paolo Scudieri nel Napoletano, la Getrag, la Bosch, la Bridgestone, la Graziano Trasmissioni nell’area di Bari e la Denso e la Dayco in Abruzzo e in Campania.

Ma non è solo l’automotive a tirare nel Sud, bensì anche l’aerospazio. Il Dac - distretto tecnologico aerospaziale campano che con quello pugliese costituisce uno dei cinque cluster di settore nell’intero Paese con gli altri tre di Lazio, Piemonte e Lombardia - associa 140 soggetti di cui 8 sono grandi imprese, fra le quali spiccano Alenia Aermacchi, MBDA, Magnaghi aeronautica, Dema, Atitech e Telespazio, 11 sono centri di ricerca, che vanno dal CIRA al CNR, dall’ENEA alle 5 Università campane con corsi di ingegneria, e ben 125 sono Pmi che aderiscono agli 8 consorzi soci del Dac.

L’intero comparto aerospaziale campano impiega 8.000 addetti, pari al 22,3% di tutti gli occupati nel settore in Italia, e dopo avere esportato 1.147 milioni di euro nel 2014, ha ulteriormente migliorato tale voce nel 2015. Si annunciano, fra l’altro, nello stesso comparto nuovi investimenti a Napoli e, in Puglia a Brindisi, della GE Avio in due siti che occupano complessivamente circa 1.700 addetti diretti.

Ma anche altre aree del Sud continuano ad essere attrattive per investimenti industriali aggiuntivi. Nei giorni scorsi è stato annunciato dalla Apple l’apertura a Napoli del primo centro di sviluppo per app d’Europa, creando a regime 600 posti di lavoro ad alta qualificazione, collaborando con il corso di laurea in informatica della Facoltà di Ingegneria dell’Università Federico II.

Anche in Puglia - grazie ai finanziamenti della Regione a valere sui fondi comunitari 2014-2020 - sono stati avviati nuovi investimenti da diverse grandi aziende, come ad esempio quello di quasi 50 milioni della multinazionale indiana Jindal a Brindisi e l’altro della Magneti Marelli che proprio nei giorni scorsi ha annunciato un intervento di 36 milioni nel suo stabilimento di Bari che già occupa 950 persone per la produzione di un motore elettrico per auto.

Inoltre stanno giungendo a rendicontazione proprio in queste settimane i massicci investimenti promossi sempre in Puglia con 44 contratti di programma da grandi imprese italiane ed estere che hanno ottenuto incentivazioni a valere sui fondi comunitari del ciclo di programmazione 2007-2013 che la Regione ha utilizzato al meglio.

Fra le multinazionali che ne hanno fruito si segnalano Bosch, Getrag,  GEOil&Gas-NuovoPignone, Merck Serono, Sanofi, Wind, Alenia Aermacchi, Owens Illinois. Certo, sono stati interventi su strutture già esistenti - e non greenfield - ma questo elemento non ne riduce affatto l’importanza che, al contrario, si evidenzia quando si pensi che i big player italiani ed esteri considerano i loro siti in Puglia punti di forza della loro capacità produttiva a livello globale che viene così ulteriormente migliorata con loro investimenti co-finanziati da incentivi regionali.

Se quegli impianti non risultassero competitivi, gli incentivi regionali da soli non sarebbero sufficienti a trainare l’impiego di risorse finanziarie che, comunque, appartengono per la quota di maggioranza alle imprese richiedenti. E non bisogna dimenticare l’altro grande filone di investimenti industriali in corso nel Meridione, favoriti dai contratti di sviluppo gestiti da Invitalia che riguardano dall’aerospazio all’agroalimentare e di cui v’è ampia documentazione sul sito della società pubblica.

Perché allora di questo vasto aggregato di dati produttivi e di interventi su vari stabilimenti industriali del Mezzogiorno la Svimez non offre un quadro aggiornato? Non abbiamo tutti il dovere di contribuire con il nostro impegno di ricerca e di studio a rilanciare un territorio come quello dell’Italia meridionale che rimane per l’insieme del suo valore aggiunto industriale all’11° posto fra le regioni dell’Unione Europea?

Ora se quelli appena ricordati sono alcuni dei comparti trainanti dell’industria meridionale, è del tutto evidente che rafforzarli ed estenderli significa creare anche occasioni di reimpiego per operai, tecnici e persino dirigenti che siano stati espulsi da fabbriche in crisi o già dismesse: ma allora dovrebbero funzionare molto meglio in tale direzione Italia lavoro, i Centri per l’impiego - che a mio avviso dovrebbero passare sotto il controllo dell’istituenda Agenzia nazionale per il lavoro - le Agenzie di lavoro interinale e le politiche attive per l’occupazione e lo sviluppo delle Regioni meridionali.

In proposito sarebbe molto interessante ascoltare cosa pensino gli Assessori di competenza delle Regioni del Sud, anche per valutare l’ipotesi di sperimentare o consolidare ogni forma di coordinamento possibile per politiche di reimpiego fra ambiti regionali diversi, ove operano però settori manifatturieri e stabilimenti che hanno incidenza su aree territoriali anche sovraregionali. Quelli suggeriti sarebbero percorsi di collaborazione interregionali sinora inesplorati, ma che potrebbero almeno essere studiati a fondo come ipotesi concrete per venire incontro a chi il lavoro ancora non lo ha o lo ha perduto. Ma le risorse finanziarie e le basi industriali esistono nel Sud per dare avvio almeno alle sperimentazioni. Occorrerebbero solo buona volontà e gestione manageriale delle varie operazioni.

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Federico Pirro