Caso Ilva, ora si pensa a un super-commissario
Economia

Caso Ilva, ora si pensa a un super-commissario

Dopo il sequestro di 13 aziende del Gruppo Riva, Bondi potrebbe prenderne la guida, così come accaduto per le acciaierie di Taranto

“La situazione non è grave, è gravissima”. Non usa mezzi termini Mario Ghini, segretario nazionale della Uilm e responsabile del settore siderurgico, in merito al sequestro ordinato dalla magistratura di beni e conti correnti di 13 aziende legate alla galassia Riva. Imprese, che è bene chiarire, non hanno nulla a che vedere con l’Ilva, anche se alcune di esse erano comunque legate alla produzione di acciaio. “In realtà – spiega Ghini – ce ne sono altre invece che operano nel campo della logistica, e altre in quello dei servizi. Il loro sequestro però è collegato alla vicenda Ilva. Qualche tempo fa infatti i magistrati avevano stabilito in circa 8 miliardi il danno ambientale arrecato dalle acciaierie dei Riva alla città di Taranto. Per questo era stato disposto un sequestro di beni dell’Ilva che in parte però è stato annullato con provvedimenti di legge successivi. Gli inquirenti hanno deciso allora di allargare lo spettro d’azione a tutti i beni della famiglia Riva per avere le opportune garanzie finanziarie. Da qui la decisione di procedere al sequestro delle 13 aziende che gravitano nell’orbita della Riva Fire, la holding di famiglia che controlla tutto il Gruppo”.

TARANTO E ILVA, UNA QUESTIONE DI SALUTE

Una decisione però dagli effetti, come accennato, devastanti. Il blocco dei conti correnti infatti fa sì che qualsiasi attività venga compromessa. “I fornitori delle varie aziende hanno già sospeso le consegne – fa notare Ghini – non avendo garanzie sui pagamenti. Per non parlare del fatto che per fine mese non sarà possibile neanche pagare lo stipendio ai lavoratori”. I lavoratori appunto, circa 1.400 addetti lasciati per il momento a piedi, che secondo Ghini a questo punto sono le uniche vittime dello scontro tra Ilva e magistratura, scontro legato all’inquinamento della città di Taranto. “Per loro – annuncia Ghini – il ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato ha già promesso l’avvio degli ammortizzatori sociali, con la cassa integrazione ordinaria o straordinaria che scatterà a seconda delle diverse situazioni”.

Risolta però la questione più contingente di garantire un salario anche minimo a questi 1.400 lavoratori, ben più complessa resta invece la ricerca di una possibile soluzione della vicenda. “Stiamo parlando infatti di aziende – sottolinea Ghini – che sono perfettamente in salute, che lavoravano, che producevano utili e che quindi non hanno nessun problema di carattere industriale”. Senza contare che il blocco di alcune di esse potrebbe anche compromettere l’attività dell’Ilva stessa, che utilizzava proprio alcuni dei servizi garantiti dalle imprese in questione. Insomma, a danno si potrebbe aggiungere danno. Eppure trovare una via d’uscita sembra davvero complicato.

SE CHIUDE UNA FABBRICA AL SUD

Lo stesso Zanonato ha spiegato che appare al momento impraticabile, così come accaduto per l’Ilva, procedere al commissariamento delle imprese in questione, e fondamentalmente per due ordini di motivi. La legge, varata tra l’altro proprio per permettere all’Ilva di continuare a produrre con il commissario Enrico Bondi, prevede infatti che ci debbano essere due presupposti fondamentali: un grave danno ambientale e un numero di lavoratori, per la singola impresa, superiore ai mille. Elementi che chiaramente mancano per tutte le 13 aziende oggetto del sequestro. E allora la soluzione potrebbe chiamarsi "super-commissario". “A questo punto, l’unica alternativa – propone infatti Ghini – potrebbe essere quella di allargare il perimetro di competenza dell’Ilva, considerando che senza alcune delle imprese in questione essa stessa non potrebbe funzionare, e far ricadere la competenza del commissario Bondi anche su tutte le società oggetto del sequestro. Bisognerà però capire se legalmente e tecnicamente è una strada percorribile”.

ILVA, UN FUTURO TUTTO DA INVENTARE

Una verifica questa che andrà fatta il più velocemente possibile, perché il destino di 13 aziende e di 1.400 posti di lavoro, al momento, sembra essere proprio appeso ad un filo.  

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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