Ikea, le ragioni dello sciopero di 6.000 dipendenti
Economia

Ikea, le ragioni dello sciopero di 6.000 dipendenti

Per la prima volta incroceranno le braccia in tutti i 21 negozi presenti in Italia contro la decisione dell'azienda di disdire il contratto integrativo

Nel suo piccolo, sabato 11 luglio è una data storica: per la prima volta in Italia i 6.000 dipendenti di 21 negozi Ikea incroceranno le braccia. E lo è, visto che il colosso dell'arredamento fai – da – te dovrebbe essere uno dei tanti simboli, anche da noi, di quella cultura socialdemocratica nordica, che tanto piace ai sindacati (soprattutto quelli rossi), perché in grado di coniugare gli affari con una certa sensibilità per il welfare aziendale.

Ma il condizionale è più che mai d'obbligo: Ikea non è forse più quel "bel posto in cui lavorare"? La parola d'ordine, anche in questo caso, è "flessibilità". E la trattativa con gli svedesi sembra, per certi versi, un remake del film già visto nel 2010 - 2011 con la Fiat di Marchionne. Almeno agli occhi dei tre sindacati nazionali Cgil, Cisl e Uil che hanno proclamato lo sciopero azionale per l’intero turno di lavoro di sabato.

I lavoratori e le lavoratrici di Ikea, per la verità, avevano già scioperato il 6 giugno, ma si è trattato allora di iniziative gestite a livello territoriale per mandare un primo messaggio all’azienda.

Questa volta, invece, la protesta sarà su tutto il territorio nazionale con un impatto notevole sul business dell'azienda: nel weekend, in genere, gli store Ikea vengono presi d'assalto dai clienti, ma stavolta rischieranno di trovare le serrande abbassate.

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Il nodo degli straordinari e dei bonus
A far saltare il tavolo, spiegano le tre sigle in un comunicato congiunto, è stata "la disdetta unilaterale di oltre 30 anni di contrattazione da parte di Ikea", un gesto "politico di rottura, che prosegue nella rigidità di una posizione incentrata su tagli insostenibili". Ai sindacati non vanno giù le proposte dell'azienda per legare premi e straordinari pagati ai dipendenti alla produttività dell'azienda.

Si passerebbe, stando al piano aziendale, da una maggiorazione fissa del 70% per il domenicale e del 120% per il festivo a una del 30% che sale a seconda del numero di domeniche e festività lavorate dal singolo addetto, mentre il premio aziendale diventerà variabile (oggi è "fisso") e sarà introdotto l'Ikea Bonus Program, un sistema che già esiste in altri paesi basato su vendite, margini, produttività e risultato operativo.

Proposte che sono state interpretate dai sindacati come "tagli lineari al salario dei lavoratori" che, al netto di domeniche e festivi, sarà diverso a seconda del negozio in cui si lavora; più alto, se si ha la fortuna di essere in organico a uno store in cui si vende molto.

La strategia degli svedesi
Del resto, che si sia arrivati ai ferri corti lo dimostrano i toni del comunicato aziendale: "L’intransigenza del sindacato non contribuisce a una prospettiva positiva del confronto avviato" si legge in una nota di Ikea.

L'azienda si difende, spiegando che, nonostante negli ultimi tre anni le perdite di bilancio dovute alla crisi abbiano prodotto un disavanzo complessivo di oltre 53 milioni di euro, "ha dato prova di gestire con responsabilità questa congiuntura senza arrivare né a chiudere punti vendita, né a tagliare la forza lavoro, come invece è purtroppo capitato ad altre realtà del settore".

A maggio 2014 Ikea ricorda che "aveva accettato di prolungare di un anno la durata del contratto integrativo, che altrimenti sarebbe andato a naturale scadenza a fine agosto 2014" e che le proposte confermate all'ultimo incontro con le sigle sindacali (ricalcolo della retribuzione variabile, nuovo sistema di gestione dei turni e riequilibrio del lavoro domenicale e festivo, che oggi presenta differenze tra negozio e negozio e, all'interno dello stesso punto vendita, tra vecchi e nuovi assunti) hanno l'obiettivo di "assicurare un futuro solido e sostenibile alla sua presenza in Italia e di poter continuare il piano di espansione attraverso l'apertura di nuovi punti vendita".

L'Italia nel 2012 per Ikea era il quinto mercato a livello mondiale. Oggi è l'ottavo.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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