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Economia

Ecco come la Cina vuole controllare le aziende straniere

Nuove regole costringono a creare unità del Partito comunista interne per mediare i conflitti interni e approvare le operazioni di business

Cosa c'entrano i quadri del Partito comunista cinese con le multinazionali straniere che operano nella Repubblica popolare? Niente, verrebbe da dire. E invece non è così. Essenzialmente perché le manie di controllo del Presidente Xi Jinping si stanno spingendo in ambiti dove il Partito non era mai entrato in maniera così invasiva prima. E così, mentre i massimi esponenti del movimento studentesco pro-democrazia vengono arrestati a Hong Kong e le case editrici straniere che operano Cina "invitate" a cancellare dai loro database tutti gli articoli e gli approfondimenti su temi "controversi" come Taiwan, Tibet e Rivoluzione culturale, anche per le aziende non cinesi è arrivato il momento di essere "controllate meglio". Dall'interno, e da qualcuno di cui il Governo possa fidarsi.

Il legame tra partito e aziende

La presenza di cellule del Partito all'interno delle aziende straniere non è certo una novità. Secondo fonti cinesi, il 70 percento dei circa due milioni di aziende private che esistono in Cina conterrebbe una piccola unità politica al suo interno.

Oggi, la creazione di una struttura partitica aziendale è diventata obbligatoria per chiunque operi sul mercato cinese, stranieri inclusi. A dire il vero questa regola esisteva già, ma era sempre stata considerata più simbolica che imperativa.

Le preoccupazioni delle aziende straniere

Xi Jinping invece chiede di più, perché solo così può assicurarsi il controllo assoluto sui movimento dei businessmen stranieri in Cina. E' certamente significativo che un nutrito gruppo di Amministratori delegati di compagnie occidentali si sia riunito in gran segreto a Pechino per discutere i da farsi. La notizia è stata diffusa dal South China Morning Post, le cui fonti, rimaste protette dall'anonimato, non hanno fornito dettagli sulle compagnie che hanno partecipato all'incontro ma hanno confermato la gravità della situazione. Apparentemente le compagnie straniere sarebbero state in più occasioni invitate a rivedere i termini delle loro joint ventures con partner locali per garantire che sia sempre il secondo a poter approvare in via definitiva le operazioni commerciali e finanziarie decise dal gruppo.

In cosa consistono i nuovi controlli

Una richiesta certamente inaccettabile, anche perché nessuna azienda straniera è disposta ad includere, a sue spese, membri del Partito nel comitato esecutivo. Nessuno crede alla versione cinese dell'importanza di queste figure per "gestire in maniera più efficace i conflitti interni e interpretare meglio le varie politiche e normative nazionali". E in effetti questa mediazione in passato si è anche rivelata utile, ma la paura è che il governo voglia andare ben oltre.  

Perché operare in Cina diventa sempre più difficile

Dopo aver intervistato 13 Direttori Generali stranieri il South China Morning Post è arrivato alla conclusione che l'interferenza del Partito nelle attività delle aziende straniere in Cina è già aumentata da un pezzo, e questa nuova normativa cerca solo di formalizzare questa evoluzione. Il problema è che gli stranieri non hanno nessuna voglia di accettare di essere più controllati e vincolati da Pechino. Il punto è che l'incertezza su come muoversi è tanta, e il fatto che la Cina sia diventando un paese sempre più rigido e pericoloso di certo non aiuta. Basta un altro semplice esempio a dimostrarlo: nel corso dell'inchiesta condotta dal quotidiano di Hong Kong solo Samsung e Nokia hanno ammesso di avere all'interno delle loro succursali cinesi un ufficio politico. Le altre aziende hanno preferito non rispondere. Per non esporsi verso Pechino o verso i rispettivi paesi di origine? Non lo sapremo mai.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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