Cina, ecco chi seguirà Alibaba a Wall Street
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Economia

Cina, ecco chi seguirà Alibaba a Wall Street

A Pechino piacciono gli imprenditori leali e conservatori, attivi sul mercato interno e anche un po' filantropi

La quotazione di Alibaba a Wall Street potrebbe aver definitivamente alterato gli equilibri "geo-finanziari" del mondo. In poche ore l'eccentrico Jack Ma, oltre a raccogliere 228,5 miliardi di dollari e ad affermarsi come Ceo più famoso del mondo, ha confermato che la Cina è definitivamente cambiata. Ecco perché vale la pena chiedersi da un lato come i cinesi abbiano vissuto il trionfo di Jack Ma, dall'altro se ne esistono già gli eredi, come si muovono e che strategie e priorità seguono.

Sappiamo tutti che il lancio di Alibaba è stato seguito con passione in Cina. In soli quindici anni l'azienda ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per competere con l'Occidente, e la grande lezione che la Repubblica popolare ha imparato questa settimana è che, così come il governo aveva previsto, il Paese sta dimostrando al resto del mondo quanto vale.

La quotazione record di Alibaba, dopo i successi dei meno noti Tarena International, iKang Healthcare, Leju Holdings e Weibo, ha aperto la strada a tutte quelle aziende cinesi che sognano da tempo di competere in un contesto internazionale. Tuttavia, per capire chi potrà farcela e chi no, è fondamentale individuare i punti di forza che hanno permesso a Jack Ma di arrivare fino a Wall Street: sfruttamento delle potenzialità del mercato interno, compromesso vincente con il Partito e filantropia.

La Cina e l'e-commerce

In Cina tutto è sovradimensionato. Se guardiamo al mercato di internet, ad esempio, il numero di utenti registrati è pari al doppio dei 300 milioni degli Stati Uniti, e almeno la metà di chi naviga in rete nella Repubblica popolare lo fa (anche) per acquistare oggetti. La Cina è poi un mercato leader nell'utilizzo degli smartphone, che sempre più spesso permettono a chi vive in località remote di acquistare ciò che hanno sempre sognato senza muovere un passo. Dopo aver individuato le opportunità che una situazione così favorevole poteva offrire alla sua compagnia, e senza copiare nulla dall'estero, Jack Ma ha studiato le formule di interazione e acquisto online più adatte per il pubblico cinese. Un approccio, questo, che oltre a risultare vincente in un'ottica di mercato, gli ha permesso di conquistare la stima e la fiducia del Partito, dimostrando quanto Alibaba non rappresentasse alcuna minaccia per l'establishment ma che, al contrario, avrebbe permesso ai burocrati di mantenere la storica promessa di distribuire benessere nelle aree più remote della Cina molto più in fretta di quanto avessero immaginato. Il successo della quotazione a Wall Street, infine, ha confermato quanto tanta fiducia fosse ben riposta: anche all'estero, Alibaba si è affermato come Alibaba, non come il Google o l'Amazon cinese. Dal punto di vista della propaganda, il fatto che il colosso cinese dell'e-commerce sia riuscito a mantenere la propria identità nazionale è un risultato straordinario e certamente da copiare.

L'importanza di creare un legame solido con il Partito

Terzo punto chiave della strategia di Jack Ma è aver individuato un modo più moderno per mettersi al servizio del Partito. Pochi hanno ricordato in questi giorni che l'eccentrico Ceo di Alibaba appena un paio di anni fa stupì il mondo con il suo annuncio di voler lasciare la guida di Alibaba per dedicarsi (da responsabile di una delle tante agenzie governative del suo paese) alla lotta all'inquinamento. Le ragioni di una scelta apparentemente così bizzarra sono state chiarite oggi. Pechino deve aver deciso di affidarsi a persone con il carisma, l’intuito, il successo e la popolarità di Jack Ma anche per rinnovare l'immagine del paese, in patria e all'estero. Scegliere il Ceo di Alibaba per guidare un'agenzia governativa così importante significa mettere nero su bianco l'intenzione del paese di cambiare. Legittimando il valore dell'imprenditoria privata sottolineandone contemporaneamente la lealtà alla tradizione e al Partito. E scegliendo leader le cui azioni potrebbero essere emulate da tanti cinesi in cerca di una guida moderna, azzerando preventivamente l'eventualità che i primi possano trasformarsi in una "minaccia politica".

I leader che piacciono a Pechino

Jack Ma ha messo insieme tutto questo, e ha vinto, ma non è certo l'unico uomo su cui Pechino sta investendo. Stando alle classifiche di Forbes, i gruppi cinesi in grado di competere sul mercato internazionale sono principalmente banche e aziende di stato, ma non è tra i loro dirigenti che vanno cercati i prossimi Jack Ma. Sono i personaggi apparentemente un po' bizzarri quelli che dovremmo monitorare in quanto possibili nuovi leader della Cina del Terzo Millennio. Tra questi i dirigenti di Zhaopin, piattaforma cinese per la ricerca di lavoro online pronto a quotarsi a Wall Street, dove le ultime stime sostengono potrebbe raccogliere almeno 100 milioni di dollari. Ronnie Chan, Ceo di Hang Lung Group, l'imprenditore che ha donato 350 milioni di dollari ad Harvard. Ai cinesi piace ancora poco, perché ritengono che tutti questi soldi avrebbero potuto essere spesi per foraggiare le università nazionali, ma quando un dipartimento della grande Harvard verrà intitolato a un benefattore cinese Pechino avrà messo un altro piede nell'establishment americano che conta, e a quel punto lo noteranno tutti. Lo stesso vale per Chen Guangbiao, che dopo aver cercato (invano) di convincere i principali editori statunitensi a vendergli una delle loro prestigiosissime testate, dal New York Times al Wall Street Journal, ha deciso di cambiare strategia per trasformarsi da magnate del settore dello smaltimento dei rifiuti a benefattore internazionale finanziando, appena un paio di mesi fa, un pranzo a tre stelle per i senzatetto di New York.

A Pechino tutti concordano sul fatto che l'immagine del Partito possa esser rinnovata solo quando il paese riuscirà a darsi priorità globali e ad affidarle a un nuovo gruppo di Ambasciatori mondiali che, meglio dei burocrati, aiuteranno il mondo a conoscere la "vera" Cina. Che poi ci riescano con una quotazione a Wall Street o con un'insalata di cavoli e patate arrosto non importa. 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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