Boeing-Airbus, la guerra continua
Economia

Boeing-Airbus, la guerra continua

Dopo 10 anni, nel 2012 la compagnia americana ha superato in consegne quella europea. Ma è solo l'inizio

In una recente pubblicità di Airbus c’è un Boeing 737 Max con un curioso naso da Pinocchio: senza mezzi termini Boeing viene accusata di dire bugie quando sostiene che i suoi aerei sono più economici. Un tema molto sentito dalle compagnie aeree di tutto il mondo in tempi di risparmi come questi. Scaramucce di un’infinita guerra commerciale tra Europa e Stati Uniti per difendere senza esclusione di colpi le quote del ricco mercato dell’aviazione. Difficile parlare adesso di menzogne di fronte ai numeri che a fine anno sono arrivati sui tavoli degli analisti e che anticipano il sorpasso: nel 2012 Boeing avrebbe consegnato a compagnie aeree e società di leasing 600 aerei contro i 580 di Airbus. Non accadeva dal 2002, quando la società franco-tedesca, che fa capo al gruppo Eads, aveva strappato la leadership storica del colosso americano. Che adesso si prende la rivincita e torna in vetta almeno fino al 2015, secondo quanto ha scritto il Financial Times.

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(La pubblicità Airbus contro Boeing)

La notizia è da una parte rassicurante perché dice che nei cieli la crisi non è arrivata: gli ordini sono aumentati e la produzione di aerei è destinata a crescere. Ma restare in quota è sempre più difficile: dopo il 2015 è previsto un significativo  “vuoto d’aria”, anche per la riduzione delle spese militari, e sono già in atto i preparativi per affrontarlo con quanti meno danni possibile. Ma è anche un po’ preoccupante il sorpasso, perché vede di nuovo primeggiare l’industria statunitense in un settore importante come quello aeronautico, che ha anche delicate implicazioni per i sistema di difesa. Insomma, l’Europa rischia di perdere il controllo anche di questo delicato business ad alta intensità militare e politica.

La disfida Airbus-Boeing comincia da lontano e andrà avanti ancora per molto. Nel 2012 ha toccato livelli incandescenti proprio perché le due compagnie stanno lottando per mantenere alta la redditività e ridurre i costi dei loro preziosi gioielli supertecnologici. Al salone di Farnborough, in Gran Bretagna, che si alterna ogni anno con quello di Bourget vicino a Parigi, è stata battaglia dei prezzi per convincere clienti in affanno come le compagnie aeree. E soprattutto per accaparrarsi quella parte del cielo dove si vola alla grande, come in Cina o nell’area del Bric.

Gli americani sono scatenati, anche perché hanno dovuto subire un bell’affronto: l’apertura nel loro territorio di un impianto industriale dell’arcinemico Airbus, in Alabama, dove dal 2016 decolleranno circa 50 A320-Neo l’anno. L’annuncio, lo scorso luglio, è arrivato nel pieno della disputa sui finanziamenti pubblici: la UE accusa Washington di aver sostenuto illegalmente Boeing e ha chiesto al WTO di “punirlo” con una multa di 12 miliardi. Ma il WTO ha chiesto a Bruxelles di veder chiaro nei finanziamenti (4,5 miliardi di euro) al progetto Airbus350, il nuovo aereo prodotto con materiali compositi sul quale stanno scommettendo Gran Bretagna, Francia, Spagna e Germania e che dal 2014 dovrebbe sfidare il velivolo di punta di Boeing, il 787 Dreamliner.

La battaglia è in corso e la guerra sarà ancora lunga. Anche la diffusione dei dati sul sorpasso americano potrebbero essere un episodio di guerriglia, in un momento in cui gli americani hanno bisogno di mostrare i muscoli dopo le ipotesi di riavvicinamento tra Eads, la società che controlla Airbus, e l’inglese Bae System, dopo che in ottobre era saltata la fusione che avrebbe creato un gigante mondiale dell’aeronautica e della difesa. La partita si giocherà nei cieli ma anche nelle stanze di Washington e di molti governi europei, tedesco e francese in prima linea. Comunque adesso la parola d’ordine è: tagliare i costi di produzione, ridurre i costi di gestione degli aerei per andare incontro alle esigenze di compagnie aeree soffocate dalle spese operative (il 40% se ne va in carburanti). In palio c’è un premio di 2000 miliardi di dollari nei prossimi 20 anni. Le operazioni di decollo sono ancora i corso.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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