Blockbuster, fine di un mito
Economia

Blockbuster, fine di un mito

L'agonia del gigante del videonoleggio conferma le fragilità dei leader incapaci di cambiare. Ma segna anche la fine di un'era dell'intrattenimento domestico

Una dopo l’altra continuano a cadere le 5.000 bandierine che Blockbuster aveva piazzato nel mondo. Adesso tocca alla Gran Bretagna, dove l’insegna di videonoleggio va verso l’amministrazione controllata: oltre 4000 lavoratori coinvolti e 500 negozi a rischio. È solo l’ultimo atto di un’agonia cominciata due anni fa, che accompagna per contrappasso l’ascesa di chi l’ha causata (lo streaming via Internet in prima fila) e i cambiamenti nelle abitudini di chi guarda il cinema e in genere di chi ascolta musica o cerca informazioni.

Quello dell’insegna di videonoleggio è un caso da manuale: il leader che non capisce l’evoluzione del mercato, non si adatta e finisce per implodere. Una sorta di selezione economica della specie: i dinosauri erano grossi e forti, facevano paura ma non sono sopravvissuti ai cambiamenti dell’ambiente perché non hanno saputo o potuto adattarsi. Succede anche a molte aziende, soprattutto in questo momento, quando si avvitano sui conti e non vedono o non capiscono il mondo che gli sta cambiando attorno. Nell’ascesa e nel declino di Blockbuster c’è anche un pezzo di storia del costume e dei consumi culturali, la quotidianità di quella che retoricamente viene detta "rivoluzione digitale", che non conosce confini. Per questo Blockbuster, marchio globale e mito dell’intrattenimento domestico, sta andando incontro allo stesso destino ovunque anche se con tempi diversi.

Negli Stati Uniti, dove nacque nel 1985 da un’idea di David Cook (diventato miliardario vendendola a Viacom nel 1994), Blockbuster è stato ingoiato da uno degli eredi. Dish network, la terza più grande azienda nel settore della televisione satellitare e della paytv, ha comprato i negozi perseguendo una strategia multicanale: i dvd si scelgono e si prenotano sul web e si ritirano in negozio. Altrove non c’è il mercato o non ci sono stati pretendenti. In Italia lì dove c’erano i corridoi di horror, azione e commedie ci sono adesso lampadine, cerotti e sughi pronti. E fa un certo effetto. Ma le cose cambiano, più rapidamente che in passato, e per capirlo basta ripercorrere rapidamente la storia di Blockbuster in Italia, dove la parola fine è stata detta nel giugno dell’anno scorso.

Sull’onda del successo americano l’insegna arriva nel 1994, l’anno della discesa in campo di Silvio Berlusconi, che in qualche modo c’entra (era il socio di maggioranza  con Standa, ma ne uscì nel 2002). Fu una piccola rivoluzione per il nostro commercio lento e conservatore: un’inaugurazione la settimana, negozi aperti 365 giorni l’anno e fino a tarda ora, comunicazione e marketing all’americana. Ma fu una trasformazione anche per le nostre abitudini. Io conservo ancora la tessera Gold ricevuta con  soddisfazione dopo qualche anno di noleggi compulsivi, tre anche quattro film la settimana, soprattutto il venerdì per weekend ad alto tasso spettacolare sul divano di casa. Era il segno di appartenenza a un club, quelli che il film se lo sceglievano, lo cercavano, lo recuperavano seguendo percorsi e desideri personali. E lo “consumavano” in casa, da soli, con la famiglia, con gli amici. Erano le serate Blockbuster e, infatti, nei negozi a un certo punto apparirono i frigo con le pizze surgelate, birra e coca e gli stand con orridi snack e patatine multicolori. Non c’erano le tv satellitari. Il web non si sapeva cosa fosse e  si conquistava la cover di Time dal titolo significativo: The strange new world of Internet. Solo l’anno dopo cominciamo a usare i primi modem a 9,6k : ci volevano 5 minuti per caricare una pagina di Netscape (il Safari di allora). Un altro mondo. C’erano le videocassette, poi arrivarono i dvd e i videogiochi. Poi fini tutto in svendita.

Era possibile prevederlo? Forse sì ma forse non era facile mettere in atto le contromisure così come non sono riusciti altri (Fnac, ad esempio). Ma per il colosso americano i segnali di malfunzionamento arrivano già nel 2000. Negli Stati Uniti Netflix, la società di Reed Hastings, considerata la principale colpevole della crisi di Blockbuster, nasce nel 1997. Assesta il primo colpo portando a casa i film con un sistema semplice (puoi tenerlo quanto tempo vuoi) e grazie all’efficienza delle poste americane. Poi passa allo streaming, nel 2008. E al pagamento di un canone che ti permette di vedere tutto quel che vuoi. E’ un successo che mette in ginocchio il leader, che pure aveva i clienti e la storia. Ormai è tardi, sul mercato ci sono nuove proposte (iTunes, Hulu, la stessa piattaforma di Sony Playstation). Il tempo perduto nel compiacimento della leadership non si recupera più. I dinosauri erano forti ma troppo grossi per cambiare rapidamente direzione. E non tutte le specie avevano una buona vista.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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