Banche popolari, perché la riforma è a rischio
Ubi Banca, una delle popolari interessate dalla riforma
Economia

Banche popolari, perché la riforma è a rischio

Dubbi di incostituzionalità e proposte di misure alternative. I piani per fermare il decreto di Renzi che trasforma in spa 10 grandi istituti

“Sono pronto a mettere la fiducia sul decreto, bisogna togliere le banche dalle mani dei signorotti locali”. E' il messaggio giunto ieri dal premier Matteo Renzi, ospite della trasmissione Porta a Porta di Bruno Vespa. Il decreto a cui si riferiva il premier è quello approvato nelle settimane scorse dal consiglio dei ministri, che riforma radicalmente le principali banche popolari italiane. Entro i prossimi 18 mesi, ben 10 istituti che hanno lo statuto di società cooperativa (da Ubi Banca fino a Banca Etruria passando per il Banco Popolare, per Bpm, Bper e Veneto Banca) dovranno infatti trasformarsi in società per azioni. La stessa cosa dovranno fare, in futuro, tutti gli istituti cooperativi bancari che hanno un patrimonio superiore a 8 miliardi di euro.


Banche Popolari: cosa cambia in 5 punti

Mentre il presidente del consiglio ostenta sicurezza, però, dentro e fuori il Parlamento si è già creato un vasto schieramento di oppositori alla riforma. A guidarne le fila è ovviamente l'Associazione Nazionale fra le Banche Popolari (Assopopolari), che riunisce 70 istituti di credito con un milione di soci. I vertici di questa organizzazione di categoria sono pronti a discutere, nel merito, alcuni aspetti della riforma ma non a digerire in un solo boccone il decreto recentemente approvato dal governo, che deve ancora essere convertito definitivamente il legge. In particolare, Assopopolari ha creato una commissione tecnica che sta studiando la possibilità di proporre misure alternative (una sorta di autoriforma) a quelle di stampo renziano. Il governo, va ricordato, vuole eliminare alcuni articoli del Testo Unico Bancario (Tub) in base ai quali nessun socio delle popolari può detenere più dello 0,5-1% del capitale. Inoltre, l'esecutivo intende cancellare anche il sistema del voto capitario. Oggi, infatti, ogni socio delle banche popolari può esprimere nell'assemblea degli azionisti un solo voto (ogni testa, un voto), indipendentemente dal numero di quote possedute nel capitale. Trasformando le popolari in spa, il sistema del voto capitario verrebbe eliminato e le 10 banche interessate dalla riforma diventerebbero, contrariamente a oggi, scalabili da qualsiasi istituto concorrente.

Riforma delle banche popolari: ma il decreto che c'entra?


La commissione tecnica di Assopopolari, che annovera tra le proprie fila personalità di spicco come gli economisti Angelo Tantazzi e Alberto Quadrio Curzio, oltre al noto giurista Piergaetano Marchetti, ha aperto alla possibilità di introdurre soltanto alcuni cambiamenti morbidi. L'idea è di non eliminare completamente il voto capitario , favorendo i soci che hanno investito in maniera durevole nelle azioni di ogni banca popolare, anche se la quota in loro possesso è molto limitata. Mentre studia una soluzione di compromesso, però, Assopopolari solleva pure molti dubbi di costituzionalità sul provvedimento appena varato dal governo Renzi. Una posizione, questa, che viene condivisa da un ampio schieramento trasversale in Parlamento, da Forza Italia al Nuovo Centrodestra sino al Movimento 5 Stelle. Per riformare le popolari, infatti, l'esecutivo ha scelto di adottare un decreto-legge, che deve essere approvato dalle Camere entro 60 giorni e che, secondo l'articolo 77 della Costituzione, dovrebbe servire soltanto per il varo di misure urgenti e inderogabili. Dunque, domandano gli oppositori della riforma, che bisogno c'era di approvare in fretta e furia la riforma delle popolari, che può essere eventualmente realizzata con una legge ordinaria e con un iter in Parlamento un po' più lungo?

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Anche l'ex-magistrato Ferdinando Imposimato, che il Movimento 5 Stelle voleva portare alla Presidenza della Repubblica durante le ultime elezioni per il Quirinale, ha sollevato dubbi sulla costituzionalità della riforma delle popolari, esprimendoli in una lettera inviata al presidente del Senato, Pietro Grasso. Secondo Imposimato, infatti, il decreto del governo non sarebbe soltanto in contrasto con l'articolo 77 della Costituzione ma potrebbe violare persino l'articolo 3, che sancisce il principio di uguaglianza tra i cittadini. Non si capisce, sostiene infatti l'ex-magistrato, come una legge possa impedire a qualsiasi soggetto di esercitare l'attività bancaria in forma cooperativa, non appena il patrimonio dell'istituto supera una determinata soglia. Per la riforma delle popolari, insomma, la strada sembra tutt'altro che spianata.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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