Intervista a Federico Ghizzoni: vi spiego perché avrete sempre bisogno delle banche
SERGIO OLIVERIO / Imagoeconomica
Economia

Intervista a Federico Ghizzoni: vi spiego perché avrete sempre bisogno delle banche

Il piano del numero uno del gruppo Unicredit

Ha fatto sparire dalle nostre strade i negozi di dischi. Ha decimato le agenzie di viaggio. Ha colpito duramente il mercato dei giornali. E ora la tempesta digitale si sta avvicinando al cuore dell’economia: le banche. I clienti operano sempre più online e le filiali si svuotano. Negli ultimi due anni nelle banche italiane c’è stato un calo delle operazioni allo sportello del 40 per cento. Non solo: iniziano a offrire servizi di tipo bancario anche i colossi del web e c’è la possibilità che un giovane di oggi diventi adulto senza aver mai messo piede in un istituto di credito. Una situazione da incubo per il settore, già alle prese con una crisi economica pesantissima, margini sempre più ridotti, tagli al personale (dal 2000 al 2020, ha calcolato il sindacato Fabi, le banche avranno espulso 68 mila dipendenti su 340 mila) e un futuro da reinventare. Come uscirne? Nelle scorse settimane il top management di Unicredit, secondo gruppo bancario in Italia e in Germania, e il più presente all’estero, ha illustrato ai suoi 5.200 dirigenti un progetto rivoluzionario: si chiama Open, sarà operativo dal 3 novembre e prevede di cambiare profondamente il rapporto con il cliente. Introducendo anche delle innovazioni, come la vendita di case, televisioni o macchine per il fitness, che possono lasciare un po’ perplessi. Ma sulle quali l’amministratore delegato del gruppo, Federico Ghizzoni, 58 anni, punta molto, come conferma in questa intervista.

Qual è l’impatto del web sulle banche?
Il mondo delle banche è investito da un cambiamento epocale: a fine 2009 circa il 70 per cento delle transazioni dei clienti di Unicredit erano effettuate nelle filiali. Oggi siamo al 22 per cento. Un cliente che usa mediamente i canali alternativi interagisce con la sua banca circa 200 volte in un anno, ma si presenta allo sportello appena 4 o 5 volte. Questi cambiamenti pongono le banche davanti a tre sfide. La prima è dare di più agli utenti collegati via internet. Seconda sfida: stanno crescendo istituzioni che non sono banche ma che offrono servizi bancari Attraverso Google, Amazon, Apple, Paypal si possono fare acquisti e transazioni finanziarie bypassando il sistema bancario classico. E in Gran Bretagna una catena di grande distribuzione come Tesco gestisce più risparmiatori di una grande azienda di credito. Terza sfida: salirà esponenzialmente la tendenza da parte dei clienti a diventare autosufficienti nel procurarsi servizi bancari, come credito personale o prodotti di risparmio, disintermediando di fatto la banca.

Quali sono le conseguenze di questi cambiamenti?
A breve termine, margini di intermediazione più bassi e sempre più pressante necessità di ridurre i costi. In realtà che succede ai nostri ricavi se i clienti usano sistemi alternativi alle banche e se non riusciamo più ad acquisire clienti giovani?

E come fa un istituto come Unicredit a resistere?
In tre modi: primo, investire in nuove tecnologie. In cinque anni, da qui al 2018, Unicredit sta investendo 4,5 miliardi in parte anche per migliorare e sviluppare nuovi canali distributivi, con un’enfasi particolare proprio sulla tecnologia. Secondo, dovremo integrare meglio i vari canali, affinché il cliente possa iniziare un’operazione con il tablet, continuarla con un pc e finirla nella filiale in modo fluido, senza alcun problema, e fare in modo che la sua filiale sappia tutto su quella operazione. Tenga conto che oggi il 42 per cento dei nostri clienti utilizza la banca con mezzi multicanale: il 13 per cento li chiamiamo «nativi digitali» perché usano solo strumenti di nuova generazione e il 29 per cento utilizza la banca solo attraverso gli Atm, cioè i bancomat evoluti. Infine: passare da una banca che dall’alto dice al cliente che cosa va bene per lui a una banca che è in grado di fornirgli un servizio su misura. È da qui che nasce il nostro slogan: la banca è del cliente. Questo sarà possibile davvero se riusciremo a utilizzare i miliardi di informazioni che abbiamo a proposito dei nostri clienti, che sono in tutto circa 35 milioni di cui 8 milioni solo in Italia. Questi dati ci consentono di costruire l’identikit di ciascuno di loro, conoscerne realmente i bisogni e offrire quello che risponde alle loro necessità e ai loro obiettivi.

Servono ancora le filiali? Sì. Il luogo fisico rimane importante, il concetto di prossimità va rilanciato aggiungendo efficienza e contenuti nell’interesse del cliente. Per questo le filiali vanno ripensate completamente. Nel 2008 avevamo 4.300 filiali, ora siamo a 3.400 e scenderemo a 3.100. Di queste, 1.200 saranno flessibili: alcune aperte solo la mattina, altre il pomeriggio, chi la sera, chi il sabato. L’obiettivo è riportare il cliente in banca e fornirgli un servizio con molto più valore. E allo stesso tempo abbattere il costo degli sportelli di un terzo. È una via obbligata: oggi solo il 16 per cento della clientela Unicredit utilizza i servizi allo sportello.

Come saranno le filiali del futuro?
Nelle filiali di nuova generazione, che saranno circa 2 mila entro il 2016, non ci sarà più la figura classica del cassiere. I colleghi diventano consulenti che dispongono di tutte le informazioni sul cliente e sono quindi in grado non solo di effettuare le tradizionali operazioni di cassa con una macchina elettronica di nuova generazione che fa tutto in pochi secondi, ma di offrire i servizi e i prodotti più adatti alle sue esigenze.

Come tablet e tapis roulant?
Mi sono chiesto: come suscitare la curiosità del cliente e farlo entrare in banca? Ho pensato che un modo poteva essere vendere un prodotto come il tablet, molto apprezzato dai consumatori, con già installati dei contenuti operativi legati alla gestione del proprio conto e mettendo a disposizione il credito necessario. L’idea ha avuto uno straordinario successo: a giugno dello scorso anno, in tre mesi, abbiamo venduto oltre 90 mila tra tablet e smartphone, a prezzo pieno. Abbiamo replicato l’operazione con i televisori smart di Samsung, arrivando a coprire il 46 per cento del mercato durante i due mesi dell’operazione. Da lì siamo passati a Technogym e ora toccherà alla Apple. Tutte iniziative grazie alle quali abbiamo dato un servizio in più al cliente. Questa esperienza ci ha fatto capire che il pubblico è sempre più orientato a comprare con un click, con una sola operazione, prodotti e servizi collegati.

La prossima frontiera?
Da poco più di un mese, in Italia, siamo partiti con la casa. Incrociando i bisogni dei nostri clienti, possiamo sapere chi vuole vendere un immobile e chi lo sta cercando. E così abbiamo creato un servizio immobiliare che è molto più rapido anche nella erogazione di un mutuo o nelle pratiche per i passaggi di proprietà. Entro fine anno contiamo di arrivare a un migliaio di compravendite. Poi, nel settore delle assicurazioni auto, abbiamo stretto un accordo con Allianz per un prodotto che sarà disponibile nei prossimi mesi. Basta comunicare il numero di targa e si ha subito un preventivo. Lo hanno già fatto 350 mila clienti e la polizza si potrà comprare direttamente al bancomat.

Tutto questo che effetto ha sulle piccole imprese vostre clienti?
Una migliore gestione delle informazioni sui clienti ha un impatto notevole: ci permette di costruire una mappa nella quale vediamo i dati della piccola impresa insieme a quelli dei suoi fornitori e dei concorrenti. In pratica il consulente ha una visione d’insieme sull’intera filiera.

Come vede il futuro delle banche? Sono ottimista: ci sarà una banca nuova e troverà una sua ragione di esistere. Le banche hanno una cattiva reputazione, ma allo stesso tempo godono ancora di un’alta fiducia perché garantiscono una straordinaria sicurezza a ogni livello.

Consiglierebbe a un giovane di andare a lavorare in banca?
Sì, è un’opportunità perché entrerebbe in un momento di grande cambiamento. Ma deve scegliere la banca giusta: quella che cambia davvero.

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Intervista uscita sul numero 33 di Panorama

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Guido Fontanelli