Austerity, tutti i numeri della crisi
Economia

Austerity, tutti i numeri della crisi

Dal Pil alla disoccupazione, dai consumi all’inflazione, le ragioni per cui siamo in recessione

Stipendi che non cresceranno e che (se va bene) resteranno costanti, pil in netto calo, disoccupazione che raggiungerà livelli record: non è lo scenario di un Paese in guerra, ma quasi. E riguarda l'Italia. Sono queste le previsioni sul futuro economico del nostro Paese presentate dall’Istat. I numeri certificano una condizione di austerity che la gente sente sulla propria pelle, che vive ogni giorno e che la spinge a scendere in piazza e a protestare. In un clima di tensione sociale sempre più aspro.

Si tratta infatti di dati che lasciano ben poche speranze su un futuro economico migliore almeno nell'immediato. Scenari foschi, confermati d’altronde anche dalla Corte dei Conti, dal Fondo monetario internazionale e dalle maggiori banche d’investimento mondiali, tutte concordi nel sostenere che la ripresa in Italia, se arriverà, non ci sarà prima del 2015.

Eccoli i numeri che stanno dietro alle proteste.

Prodotto interno lordo

È di oggi la notizia che, secondo i dati Istat, il terzo trimestre 2012 è il quinto consecutivo in cui si registra un calo congiunturale del Pil: -0,2%. Siamo quindi ancora in piena recessione. Allargando però lo spettro d’osservazione, bisogna fare i conti con il fatto che per tutto il 2012, l’Istat stima che ci sarà una flessione del Pil pari al 2,3%, un trend negativo che continuerà anche per tutto il 2013, anche se a livelli meno pesanti, che si fisseranno a quota -0,5%.

Domanda interna e mercati esteri

Il calo sensibile del Pil si spiega soprattutto con il crollo della domanda interna che nel 2012 farà registrare un complessivo -3,6%. Una contrazione i cui effetti si faranno sentire, in maniera un po’ più contenuta anche nel 2013 quando si registrerà un -0,5%. In questo quadro l’unica ancora di salvataggio per il nostro Paese resteranno i mercati esteri, la cui domanda crescerà nel 2012 del 2,8% e nel 2013 dello 0,5%. Risultati positivi che però non riusciranno a compensare in maniera adeguata il tonfo interno.

Industria

E proprio il principale settore produttivo del Paese, quello industriale e manifatturiero, subirà gli effetti peggiori dal calo della domanda interna. L’industria italiana infatti registrerà nel 2012 una caduta del fatturato rispetto al 2011 pari al 5,3% con livelli produttivi che torneranno ai minimi del 2009.

Disoccupazione

Come facilmente pronosticabile, gli scenari descritti non potranno che abbattersi a cascata sui livelli occupazionali, che caleranno in maniera drammatica. Il tasso di disoccupazione infatti, quest’anno crescerà al 10,6%, e nel 2013 arriverà addirittura a toccare la quota record dell’11,4%.

Stipendi, consumi e investimenti

I livelli delle retribuzioni subiranno un vero e proprio stop e anche pesanti contrazioni. A dimostrarlo sono i numerosi contratti collettivi che attendono da tempo di essere rinnovati. Ovvia conseguenza di questa diffusa incertezza, sarà il calo dei consumi, che in questo 2012 si attesterà a quota 3,2% e per il 2013 si fisserà invece a un livello pari a -0,7%. E come se non bastasse, a tutto ciò bisogna aggiungere una notevole riduzione degli investimenti che nel 2012 sarà dell’ordine del 7,2%, mentre nel 2013 ci sarà un -0,9%.

Inflazione

Gli ultimi dati riferiti a ottobre registrano un’inflazione al 2,6%, in calo rispetto al mese di settembre quando aveva toccato quota 3,2%. Un segnale, forse uno dei pochi, in parte positivo: stiamo evidando la miscela esplosiva di economia in recessione con aumento esponenziale dei prezzi, che va sotto il nome di stagflazione. Dubbi però vengono espressi sul futuro immediato dall’Istat, tenendo conto degli aumenti dell’Iva, in parte già assorbiti, che potrebbero far nascere nuove spinte inflazionistiche.

TRA IVA E IRPEF A RIMETTERCI SONO I CONSUMATORI

Le prospettive poco entusiastiche descritte portano i ricercatori dell’Istat a concludere che la crisi attuale potrebbe colpirci con tempi molto più dilatati sia di quella del biennio 2008-2009, che durò 5 trimestri, sia di quella del periodo 1992-1993 che interessò l’Italia per ben 6 trimestri. Insomma, il clima non sembra promettere niente di buono, e le proteste di piazza ne sono la spia più allarmante.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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