Airbnb come Uber, tra opportunità  concorrenza sleale
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Economia

Airbnb come Uber, tra opportunità concorrenza sleale

Revocare le licenze è controproducente. Servono nuove regole e una strategia per farle rispettare

Quando Uber ha iniziato a fare capolino sui mercati di tutto il mondo, il pubblico è stato ben contento di poter disporre di un servizio alternativo a quello dei taxi. Quando poi il sistema di taxi privati prenotabili tramite app ideato da Travis Kalanick ha dimostrato di essere tendenzialmente efficiente pur mantenendo costi competitivi, il numero dei clienti di Uber è cresciuto a ritmi rapidissimi, comparabili solo con l'aumento di frustrazione e risentimento da parte dei concorrenti, vale a dire i taxi tradizionali. 

Uber e la concorrenza

Inizialmente governi e opinione pubblica avevano risposto all'ondata di malumore (e di scioperi) innescata dallo sbarco di Uber nei loro paesi sottolineando l'impossibilità di frenare la concorrenza e la necessità di scendere a patti con la stessa prima di finire con l'essere totalmente esclusi dai mercati. Piano piano, però, questo punto di vista si è indebolito, tante autorizzazioni sono state revocate, e Uber è già stato costretto a chiudere i battenti in Olanda, Spagna, Tailandia, Corea del Sud, Francia, Oregon e Nevada.

La parabola discendente di Airbnb

Lo stessa parabola discendende rischia di travolgere anche Airbnb, il sito fondato a San Francisco nel 2008 che gestisce gli annunci dei proprietari privati che vogliono affittare la casa ai turisti. In pochi anni ha attirato milioni di clienti, che evidentemente trovano più divertente, oltre che più conveniente, organizzare le proprie vacanze a casa d'altri. 

Come è successo per Uber, la popolarità dei servizi di Airbnb sta creando enormi distorsioni sui mercati immobiliari di tutto il mondo. A Parigi, solo per citare un esempio di capitale richiestissima dai turisti, il numero di privati che acquistano alloggi da affittare in pochi anni si è moltiplicato, e gli alberghi tradizionali temono per la loro stabilità. 

In realtà, proprio com nel caso della app dei taxi privati, il problema non è tanto legato all'inserimento di nuovi operatori su mercati piuttosto chiusi ma molto redditizzi, quando al fatto che chi si associa a Uber e Airbnb non sempre decide di farlo in maniera legale e trasparente.

Concorrenza e legalità

La concorrenza è importante, perchè migliora l'efficienza dei mercati e il livello di soddisfazione dei clienti che vi operano, e non può essere fermata. La concorrenza, però, non può essere sleale. Uber e Airbnb hanno ideato servizi utilissimi che sono stati infatti recepiti con grande entusiasmo. Ma sono caduti laddove i loro assocati non hanno rispettato le regole.

In Francia esistono regole ben precise per i privati che decidono di convertire i loro alloggi in immobili commerciali da affittare, ma solo una piccola percentuale di chi sfrutta Airbnb per pubblicizzare la propria casa risulta in regola. E anche gli albergatori hanno ragione a lamentare il fatto di dover sostenere costi elevatissimi per le spese obbligatorie di assicurazione, sicurezza, accessibilità per i disabili che gli albergatori fai-da-te raramente rispettano. A Parigi in particolare pare che anche la popolazione stia iniziando a lamentarsi, perché la corsa all'acquisto di appartamenti da affitare sta facedo aumentare i prezzi nei quartieri più belli della città, dove sempe più cittadini non possono più permettersi di comprare nulla.

Del resto, anche quando è stato lanciato Uber era stato detto che gli autisti privati non avrebbero potuto raccogliere clienti lungo la strada e che ogni loro corsa sarebbe dovuta partire dal garage di casa. Nel tempo, però, questo e tanti altri vincoli studiati apposta per evitare di trasformare la competizione positiva in concorrenza sleale sono stati dimenticati, e gli operatori "tradizionali" sono stati costretti a reagire.

Come risolvere il problema

E' evidente però che revocare le autorizzazioni precedentemene concesse a Uber, a Airbnb e ad altri operatori simili non è una soluzione, ma un modo per ingessare ancora di più i mercati negando le virtù della concorrenza. Ecco perché dovremmo sperare che i governi decidano di intervenire in maniera saggia, vale a dire definendo nuove regole equilibrate e impegnandosi a verificarne capillarmente che queste ultime vengano rispettate. A New York, a Los Angeles a e Chicago qualcuno ci sta già provando. C'è da augurarsi che non restino casi isolati. 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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