Vanno in mostra le forme del suono
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Vanno in mostra le forme del suono

Ritmi, spazi, colori: tre rassegne a Milano, Roma e Ascona fondono arte, architettura e musica

La forma è suono, il suono è forma. Ne sono convinti parecchi artisti in mostra in questi giorni. Benché il loro pioniere più famoso, Wassilij Kandinskij, potesse soltanto immaginare la musica che la sua pittura astratta intendeva emulare, negli anni 50 ci si scambiò i ruoli, e un compositore come Iannis Xenakis desiderò creare musica come si costruisce un’architettura (tutti i musicisti lo fanno, ma lui prese l’impegno alla lettera, collaborando perfino con Le Corbusier), o un altro, come John Cage, divise il mondo a metà, da una parte i silenzi, dall’altra i rumori prodotti da oggetti. Da allora, note, ritmi, borbottii e fruscii talvolta erompono dalle arti visive e ne violano la mutezza.

Come è accaduto nella mostra curata da Achille Bonito Oliva all’Auditorium Parco della musica di Roma, Forte piano: le forme del suono . C’è Cage, e con lui artisti come Nam June Paik, Gino De Dominicis, Vito Acconci, Jan Fabre, Donatella Spaziani. Erano lì fino al 10 luglio, perché poi inizia il secondo round dell’esposizione (dal 19 luglio al 31 ottobre), con Joseph Beuys, Yoko Ono, Michelangelo Pistoletto, Mario Schifano, Bianco e Valente, per citarne solo qualcuno, visto che in totale i nomi sono 80. Compongono una sorta d’orchestra disseminata su tutto il complesso ideato da Renzo Piano, quindi non solo per sale e foyer ma anche all’aperto, nei corridoi, nei bar, su per le scale, nelle toilette.

Ad Ascona va invece in mostra Ferruccio Ascari (classe 1949). L’artista, che è anche esperto di filosofia indiana e di yoga, presenta le sue opere nel museo d’arte moderna della magica cittadina in cui passarono frotte di anarchici (primo fra tutti Michail Bakunin), teosofi, danzatrici, espressionisti, poeti e scrittori del calibro di Rainer Maria Rilke, Thomas Mann, James Joyce, Hermann Hesse. Così, ricavando ancora energia spirituale dal Monte Verità, l’esposizione si intitolaMateria inquieta (fino al 16 settembre). Ascari misura lo spazio estraendone l’equivalente sonoro, solleva nell’aria della sala centrale del museo sculture in cemento e rete metallica. Fa così anche con vecchi mobili "suonati" come strumenti musicali: all’inizio di settembre, al Teatro San Materno di Ascona, si assisterà proprio a Vibractions, installazione sonora che Ascari creò nel 1978, la stessa performance che, il 29 giugno, ha chiuso anche la mostra dell’artista organizzata allo Spazio O’ di Milano.

Sempre a Milano (Palazzo Reale e Chiesa di San Gottardo, fino al 23 settembre) c’è l’artista scozzese Susan Philipsz (Glasgow, 1965). E qui, all’apice della purezza e della smaterializzazione, Philipsz manipola ed espande soltanto note. Perché il suono trasforma i luoghi e noi che li attraversiamo. Rimodella gli spazi e attiva memorie, anche tragiche. L’artista (Turner prize 2010) non a caso ha presentato nell’edizione in corso di Documenta (fino al 16 settembre), a Kassel, un’opera struggente: sui binari della stazione della cittadina tedesca si sente la musica di Study for Strings, scritta da Pavel Haas nel 1943, nel campo di concentramento di Terezin. Proprio lungo quei binari il compositore ebreo era stato deportato. Morì a Auschwitz nel 1944.

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Marco Di Capua