"Ho ritrovato il gusto di dipingere". Il giro del mondo in 80 tombini di Mario Panizza - Intervista
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"Ho ritrovato il gusto di dipingere". Il giro del mondo in 80 tombini di Mario Panizza - Intervista

L'installazione artistica del Rettore dell’Università degli studi Roma Tre, un lavoro creato dal 2007 al 2015

Inizia dal pennello e vai avanti finché non arrivi alla fine: poi, fermati. Il giro del Mondo in 80 tombini racconta il viaggio in wonderland di Mario Panizza, Rettore dell’Università degli studi Roma Tre, compiuto dal 2007 al 2015.

L’Artista contemporaneo, illustra in questa intervista i diversi paesi visitati attraverso i loro tombini; spesso veri e propri dipinti su ghisa, opere di maestri pittori o anche incisioni cariche di significati, di allegorie e geometrie astratte, sollevandoli dal terreno per esibirli sotto forma di quadri incorniciati. Nascono così gli 80 acrilici su tela raffiguranti altrettanti tombini da tutto il mondo. Dai sorprendenti e colorati tombini artistici del Giappone passando per la Norvegia, dove la gamma di temi è così vasta da poter essere scomposta in filoni, attraverso la Svizzera, il Messico, il Brasile, la Germania e molti altri Paesi, Panizza cattura le tipicità di ciascun tombino.

Com'è nata l’idea di illustrare i diversi paesi visitati attraverso i loro tombini?

La raccolta, che allude ironicamente al giro del mondo attraverso i suoi tombini, farebbe pensare a una ricerca ordinata fin dall’inizio. Nella realtà il catalogo è antologico: la selezione non sottende alcun metodo, bensì privilegia il valore estetico e la capacità espressiva dei singoli pezzi. A prevalere è la curiosità. Da qui è cresciuto l’impulso di dedicarmi a quei bassorilievi, carichi di significati e di allegorie, per sollevarli dal terreno ed esibirli sotto forma di veri e propri quadri incorniciati. Attraverso il lavoro di un meticoloso precisionista, gli anonimi artigiani, impiegati in altrettanto anonimi uffici tecnici comunali, avrebbero potuto finalmente andare a occupare le pareti di un’esposizione pronta a ricevere sempre nuovi soggetti. Insomma alle molteplici ragioni che mi hanno incoraggiato a continuare il lavoro intrapreso se ne aggiungeva un'ulteriore: il risarcimento artistico di chi era del tutto misconosciuto.

Fare un’opera di questo genere è stato facile o difficile?

Molto facile, perché ho seguito un processo naturale di autodefinizione. Individuato il primo passo – il formato della tela, la predisposizione di un passe partout e soprattutto la tecnica di mettere a fuoco il dipinto a una distanza di circa due metri – è stato sufficiente rispettare, successivamente, questi riferimenti e la collezione si è formata strada facendo. La tecnica di rappresentazione ha invece seguito un percorso, questo sì metodologicamente prefissato: dapprima la ripresa fotografica, non sempre compiuta personalmente, poi la correzione delle linee aberrate, a seguire la restituzione su tela delle sagome principali e, finalmente, l’uso del pennello – acrilico su tela.

E cosa consente questa specifica tecnica?

Permette, con una certa facilità, la correzione degli errori e l’attribuzione, alla fine del dipinto, della profondità delle trame scolpite attraverso l’uso marcato delle ombre e la sovrapposizione gestuale dei lampi di luce.

Magdeburgo e Berlino propongono dei tombini dagli impianti strutturali consueti. Ci spieghi nel dettaglio

Non so se la spiegazione debba derivare da un criterio tipologico o morfologico. Al di là di queste motivazioni funzionali, i due tombini tedeschi sono impostati su un tema grafico molto comune: una serie di cerchi concentrici che terminano nella parte più interna con un disco piccolo su cui è collocato, evidenziato, il simbolo rappresentativo della città. All’interno di questa composizione grafica si propone come tema alquanto ricorrente anche il bordo dentellato che si svolge sulla corona esterna, integrandosi di solito con le scritte di riferimento. L’originalità del tema grafico si concentra pertanto nel disco centrale, mentre le aree esterne costituiscono la parte comune che fa da supporto dimensionale all’istallazione.

Ci dica cosa la rende più orgoglioso di questa istallazione

Mi ha permesso di misurare un lavoro, portato avanti con impegno e molta passione, e di accorgermi che esso mostra ancora un discreto potenziale; non mi sembra che sia giunto a conclusione.

Una conclusione artistica

Vedendo, per la prima volta tutte insieme queste tele, ho scoperto, con sorpresa, una soddisfacente unitarietà sia di ricerca che di costruzione espressiva. Se questo è il valore oggettivo che ho tratto dall’istallazione, il piacere soggettivo è venuto dalla soddisfazione di non aver smarrito, durante questi anni, il gusto di dipingere. Professionalmente svolgo un altro lavoro e quindi la pittura è un vero hobby che, in quanto tale, potrebbe perdersi tra impegni più pressanti. La mia fortuna è che, da pittore, non devo rincorrere l’ispirazione: mi dedico a rappresentare l’immagine reale, apportando pochissime interpretazioni. Con pazienza e meticolosità, dopo 25-30 ore di lavoro il soggetto è compiuto e, a quel punto, il piacere è palpabile perché è la tela stessa a comunicarmi che non servono altri segni. Ritornando all’orgoglio della domanda, penso che la maggiore curiosità di questi tombini risieda nell’essere diventati una serie che, nata in via estemporanea, comincia a raggiungere il valore della catalogazione.

 

 

 

 

Ufficio Stampa - Roma Tre

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Giuseppe Giulio

Napoletano, ma residente a Fiuggi. Laureato in Scienze Politiche per la Cooperazione e lo Sviluppo. Ha pubblicato nel 2009 una prima silloge in lingua inglese dal titolo “Northern Star” edito da Altromondo. Collabora con Roma Tre e UNICEF.

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