Nicolai Lilin, una dose di saggezza siberiana per guardare la crisi
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Nicolai Lilin, una dose di saggezza siberiana per guardare la crisi

"Evitare gli estremismi, dare la possibilità alla gente di parlare e capirsi". Ecco l'antidoto dello scrittore e tatuatore russo

“Evitare gli estremismi, dare la possibilità alla gente di parlare e capirsi. E trovare un punto di contatto per ragionare”. È preoccupato e appassionato nel suo ragionamento, Nicolai Lilin, classe 1980, scrittore, tatuatore, artista poliedrico, noto per la trilogia scritta per Einaudi sulla sua vita da “criminale onesto” in Transnistria (Educazione Siberiana – 2009), stato indipendente riconosciuto oggi come Repubblica Moldava, ma all’epoca facente parte dell’Unione Sovietica, poi nelle fila dell’esercito russo in Cecenia (Caduta libera – 2010) e infine nel ritorno alla vita normale come reduce di guerra (Il respiro del buio – 2011).

Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per parlare di crisi, dopo aver letto un post sul suo facebook. Non solo il messaggio di uno scrittore ai suoi fan, ma un ragionamento di coscienza civica:

“Torniamo a esprimerci e parlare, vediamo se riusciamo ad organizzarci per aiutarci tra noi, facciamo questo esperimento, proviamo a combattere la vita a modo nostro, con onestà e senso civile”.

Si infervora mentre ci racconta il paragone con quell’Urss che  ha vissuto: “lo so che non si possono mettere a paragone periodo storici così diversi, ma quello che vedo oggi in Italia mi ricorda drammaticamente la falsità e il declino dell’Unione sovietica”.

Secondo Lilin, in quell’epoca c’erano due vie per i russi per rimanere in piedi: “una era la via di enorme sacrificio che dovevamo fare tutti, ridimensionare la consapevolezza della propria vita, reinventarci ma uniti, ad alcune vecchie regole, dimostrare enorme saggezza e fermezza, essere lucidi”. L’altra era quella della “società del consumo, quella che hanno proposto gli avvoltoi arrivati da Occidente, rappresentati da alcuni esponenti dell’economia e della politica corrotta che ci sono ovunque. Hanno visto nella Russia una facile preda: nel popolo c’era una sorta di inquietudine creata ad arte, i russi sono andati da questi Savonarola di turno come Eltsin, magari pagati da qualcuno all’esterno del Paese,  e la gente si accorgeva improvvisamente di vivere male. Da lì il passo verso la distruzione è stato breve”.

Secondo Lilin, “questa società sta esplodendo, c’è una totale incapacità di agire all’interno del consumismo. La rabbia è un campo che desiderano coltivare estremisti e cialtroni che aspettano questo momento per uscire sulla piazza e urlare, bestemmiare, annunciando di fare politica, ma in realtà invitando le persone a una cieca corsa verso la distruzione. La vera politica non critica l’avversario, ma propone una valida alternativa”.

E anche qui il paragone con il passato: “In Urss, quando è arrivato Eltsin, ci si lamentava per la mancanza di democrazia e capitalismo, subito dopo per la mancanza di pensioni e la svalutazione della moneta. Tutto è partito dalla piazza con la scusa della libertà e poi nel giro di qualche ora ci siamo trovati derubati senza sapere il perché”. Così le parole perdono di significato e la Russia si è trovata molto peggio, con un governo più corrotto, poliziotti al servizio della criminalità, guerre nelle ex repubbliche sovietiche, droghe, falso divertimento.

“La classe politica è la proiezione di quello che gli permettiamo di fare. Io sono preoccupato perché ho già vissuto sulla mia pelle momenti molto simili a quello che viviamo oggi ed è finita molto male. Ero nelle strade della mia città a raccogliere munizioni dai corpi dei morti. Non lo dimenticherò mai e non voglio che succeda più una cosa del genere”. La ricetta per uscire da tutto questo, secondo lo scrittore che fa un ragionamento “di sentimento, di umanità, cose che ormai ci dimentichiamo sempre di più”, è semplice: parlare con la gente, considerare le idee degli altri, ricominciare a comunicare.

“La piazza in Urss era diventata la nostra morte. Prima si chiedeva la libertà, poi il potere, poi si è incominciato ad ammazzare, minacciare, bruciare libri, dare la caccia ai nemici: i cinque anni del post comunismo sono stati sanguinari”. Ed ecco che le idee devono essere il baricentro dell’azione, non il fomentare gli estremismi: “le cose che ci servono per vivere bene sono sempre le stesse. Sinistra o destra, Almirante o Berlinguer, rispettiamo il bagaglio storico di ognuno, ma non ne facciamo più una bandiera di battaglia e di divisione”.

La gente è “disperata”, Lilin lo legge nella centinaia di commenti ai suoi post e nelle lettere che gli arrivano, ma bisogna costruire non distruggere, altrimenti si rischiano derive pericolose. “Ancora prima di parlare del suo voto, dei suoi diritti, un cittadino deve essere consapevole di quello che lui deve fare verso se stesso, cosa facciamo noi? Siamo capaci di mantenere noi stessi?”.

Cosa si deve fare? “Il dovere del cittadino – secondo Lilin - è essere onesto con se stesso e sopportare le difficoltà per uscirne insieme”. Una buona dose di saggezza siberiana per ricominciare a vivere a testa alta. Senza farsi ammaliare da facili imbonitori o deprimersi davanti a una situazione sempre più buia.

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Tommaso della Longa