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Motocarri: l'Italia rinasce sulle tre ruote

Non solo Ape Piaggio: la produzione dei motofurgoni a tre ruote ebbe un ruolo importante durante la ricostruzione postbellica. Un libro ne racconta la storia

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l'Italia era in ginocchio. Le strade erano gravemente danneggiate, gli edifici e le fabbriche erano da ricostruire. Era necessario aiutare la rinascita delle infrastrutture con mezzi economici ed affidabili, che costassero poco sia in termini di acquisto che di manutenzione. Il motocarro (o motofurgone a seconda della configurazione) era il viatico perfetto, il giusto compromesso tra una moto ed un mezzo commerciale di categoria superiore. Ottimo per gli spostamenti a breve raggio, parco nei consumi

Per antonomasia, il motofurgone degli Italiani diventa l'"Ape" della Piaggio, derivato dalla Vespa nata nel 1946. In realtà nei primi anni del dopoguerra e per tutto il decennio successivo molti produttori di motociclette affiancarono alla produzione delle due ruote quella dei motocarri, che ne condividevano la meccanica. 

Già prima della guerra i tre ruote erano già stati sviluppati sulla base di motocicli di cilindrata medio-alta (Guzzi e Benelli sopra tutti) ed utilizzati largamente in ambito militare.

Lo sviluppo dei ciclomotori e delle motoleggere negli anni tra la ricostruzione e il boom economico permise l'estensione della produzione di motofurgoni anche alle cilindrate inferiori (da 48 cc. in su). Tra i marchi più noti oltre a Piaggio e Guzzi vi furono Ducati, Morini e Benelli, ai quali si uniranno industrie che già furono impegnate in altri settori durante la guerra (Aermacchi e Innocenti).

Il "Grande libro dei Motocarri Italiani" di Sergio Puttini e Giuseppe Thellung (Giorgio Nada Editore) ne ripercorre la storia corredata da una completissima selezione illustrata di modelli. Per ulteriori approfondimenti cliccare questo link

Courtesy Giorgio Nada Editore
Disegno di un Aermacchi "Macchitre" con rimorchio

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Edoardo Frittoli