Riccardo Bertoncelli, '1967. Intorno al Sgt. Pepper'
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Riccardo Bertoncelli, '1967. Intorno al Sgt. Pepper'

Esce il quarto capitolo della serie Gli anni d'oro del rock. Abbiamo parlato con l'autore di quel 1967, un tempo che a ripensarci oggi "vengono le vertigini"

Ricostruire anno per anno la scena musicale della seconda metà degli anni Sessanta è l'obiettivo incosciente che qualche anno fa si è posto Riccardo Bertoncelli, senza sapere probabilmente dove l'avrebbe portato. Circa mille pagine dopo, arrivati a 1967. Intorno al Sgt. Pepper, si può immaginare che "Gli anni d'oro del rock" rimarrà nella storiografia dei Sixties come una perla luccicante e totalmente sui generis. Non cronologica (1967, poi il 1969, poi il 1965-66, poi ancora il 1967), non organica, non enciclopedica, è una storia fatta di storie, suggestioni, memorie, misteri e magie, infatuazioni, provocazioni, copertine, manifesti, happening, big brothers, capelli al vento e arcobaleni.

La penna di Riccardo Bertoncelli ha l'inconfondibile smalto rock - per dirla alla Celentano - del narratore di storie intorno al fuoco: uno che saprebbe rendere avvincente anche la rilettura del codice di procedura civile. La sua faretra targata 1967 è zeppa di racconti indimenticabili: i primi viaggi astrali di Jimi Hendrix e le bizzarrie psichedeliche brit, la mitologia Doors e l'esilio francescano di Bob Dylan, l'estate dell'amore e i primi festival rock, i Floyd di Syd Barrett e gli Stones braccati dalla polizia. Ci sono quasi tutti gli innumerevoli artisti e album di culto che cavalcarono quell'anno, compreso Francesco Guccini in rappresentanza del "folk beat" italiano, in realtà una scusa per raccontare gli albori di un outsider "affacciato sul bordo di un futuro che era difficile immaginare tanto vertiginoso".

Riccardo, hai definito il 1967 annus mirabilis della musica rock, e difatti occupa un posto di rilievo nella ricostruzione degli “Anni d’oro”. Tutto sembra ruotare intorno al Sgt. Pepper: come mai?
Il Sgt. Pepper è il detonatore di una situazione in movimento da almeno due anni nel mondo rock. È la nuova generazione che trova un proprio linguaggio, una propria cultura, e il fatto che i primi della classe accettino quel cambiamento, lo cavalchino, diano il loro contributo, aumenta a dismisura l'effetto. Vengono le vertigini a ripensarci e ogni raffronto con la realtà odierna è impossibile. Siamo all'opposto: non c'è un gap generazionale tremendo che viene colmato in poco tempo e quell'effetto novità-scandalo-sorpresa oggi affogherebbe nella gelatina del nostro tempo.

L’incursione nel mondo della controcultura, col racconto della Summer of Love di San Francisco e di quello che ne seguì, svela luci e ombre di un periodo epocale. Qual è l'idea che ti sei fatto di quel pezzo di storia?
San Francisco, quella San Francisco, fu una meravigliosa utopia, nel senso letterale del termine – u-topòs, in nessun luogo. Bellissime idee di pace, libertà, creatività, vita comunitaria che in breve si trasformarono in miseria e mediocrità perchè l'uomo è fatto così, il “legno storto” di cui parlava Kant. Per fortuna la musica sopravvisse al fallimento e alla mediocrità e continuò a produrre per anni, oltre il 1967, opere interessanti, originali, animate da spirito avventuroso; e anche la grafica contribuì, nel libro c'è spazio anche per quella rivoluzione di immagine.

Quasi mezzo secolo dopo, il rock non è (forse) ancora morto ma di certo la fruizione della musica è completamente cambiata. Com’era la vita di un rock fan nel 1967?
Era una vita dura ed eccitante, penosa e avventurosa. Poche notizie che arrivavano da giornali italiani dove si parlava solo dei gruppi maggiori mescolati a Gianni Morandi e Rita Pavone; pochissima RAI, salvo benemerite trasmissioni come “Bandiera gialla” o “Count Down” (e sia benedetta in eterno Radio Luxembourg!); pochissimi dischi stampati e diffusi - l'importazione era un lusso per carbonari, così come le riviste estere erano un grande mistero. Quanto ai tempi di pubblicazione, ricordo sempre il caso del primo album Doors, che richiesi per almeno tre mesi al mio pusher di fiducia prima che mi arrivasse, stampa italiana Vedette. Sul libro dedicato al Sgt. Pepper's, Renzo Arbore racconta qualcosa di molto simile relativo addirittura ai Beatles.

Sgt. Pepper a parte, scegli 5 dei 52 leggendari album usciti nel '67.
Parla il cuore del quindicenne che allora ero: il primo di Hendrix, Winds Of Change di Eric Burdon, Absolutely Free di Frank Zappa, After Bathing At Baxter's dei Jefferson Airplane, Easter Everywhere dei 13th Floor Elevators - senza dimenticare il Velvet Underground & Nico, uscito nel 1967 ma preparato fra 1965 e '66, di cui non si parla in questo volume ma nel precedente, 1965-1966. La nascita del nuovo rock.

Un capitolo è dedicato agli albori dei Pink Floyd nell’anno del debutto con The Piper at the Gates of Dawn. Cosa ne pensi di Endless River, il nuovo progetto dei PF appena pubblicato?
Mi è venuto in mente un amico che all'uscita di The Wall, 1979, aveva detto dei Floyd: “Sono come le vecchie signore, si sente il profumo da lontano”. Un giudizio cinico e ingiusto per quell'opera ma quasi perfetto per questo finale di partita. Un sunto o chissà-che di cui non si sentiva il bisogno, troppo prevedibile e piacione perché abbia un senso.

Hai già in mente il prossimo capitolo della serie “Gli anni d’oro del rock”? Pensi di proseguire anche nei Seventies?
Fossi stato astuto, avrei cominciato con il 1969 e sarei andato avanti, fino al 1976: quelli per larga parte del pubblico sono gli anni d'oro del rock. Invece per amore e convinzione storica sono andato indietro. Credo che mi estenderò al 1970, “l'anno di Jimi e di Janis” che se ne vanno, e poi nel 2018 saluterò il cinquantennale con il 1968, a chiudere una serie che a quel punto avrà toccato le 1500 pagine.

Riccardo Bertoncelli
1967. Intorno al Sgt. Pepper
Giunti
256 pp., 22 euro

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Michele Lauro