Raul Montanari, 'Il tempo dell'innocenza'
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Raul Montanari, 'Il tempo dell'innocenza'

Tre amici adolescenti, lo scherzo di una notte nel bosco di una città spettrale. Venticinque anni dopo quegli eventi irrompono nel presente devastando la vita dei protagonisti, il bullo la spalla lo sfigato, in un crescendo di suspense: ma chi è davvero la vittima?

"Io sono fatto di passato come queste case, come il lago e la notte". Una cattiva azione compiuta con indifferenza in un tempo lontano, per esempio quando gli ormoni dell'adolescenza rispondevano a un codice tutto interno al gruppo dei pari (talora meglio identificato come branco), è il potente embrione di un romanzo poco "perbene". Il tempo dell'innocenza di Raul Montanari nasconde dietro un titolo innocuo il nocciolo cupo di una storia orribilmente verosimile. Quel nucleo "ostinato", che si forma nell'adolescenza e rimane inalterato da adulti, può diventare una colpa. Una pistola puntata alla tempia.

Freud più Hitchcock, uguale attacchi di panico. Perché come dice Shakespeare nel Macbeth (citato in incipit), "le paure che abbiamo davanti spaventano meno degli orrori immaginati". Fin dal prologo, il romanzo è costruito come un lungo nightmare. Un incubo che diventa ossessione per Damiano, voce narrante e asociale quarantenne uso a prendere la vita come una scorciatoia, costringendolo a rivangare in un doloroso flashback un episodio chiave della sua adolescenza.

Era il 1986. Ivan, l'amico più scafato che gli ha appena "prestato" la ragazza per iniziarlo al sesso, chiede manforte a Damiano per dare una lezione a quel figlio di papà di Ermanno. Per evitare spargimenti di sangue, senza pensarci Damiano butta lì la proposta di un gioco un po' sadico che si concluderà tragicamente con una sinistra profezia formulata da Regine, la madre-strega di Ermanno.

Il sub plot del romanzo è un viaggio negli inferi urbani di Milano. Città maledetta, città matrigna devastata dal cemento e dall'indifferenza, coi cantieri sbucati come bubboni che hanno ricoperto di detriti tutti quegli spazi su cui ancora vent'anni fa i ragazzini dribblavano i compagni. Viverci è un "condensato dell'orrore" eppure Il tempo dell'innocenza è un rabbioso atti d'amore verso la metropoli più introversa e maltrattata d'Europa. Non a caso Damiano è un attivista del CCA, il Clan dei Ciclisti Aggressivi, grottesco manifesto della guerra quotidiana che imperversa davvero fra le vie intossicate di cultura motoristica (è di qualche settimana fa la dichiarazione dell'editrice di una celebre rivista di automobili: "I ciclisti? Sono arroganti, li tirerei sotto tutti").

Da Milano al lago d'Iseo i riflettori si spostano a inquadrare una quinta di eventi e personaggi stereotipati come nel più classico dei brutti sogni. Maggiordomi guardiaspalle di stampo nazista, lo yuppi rampante evolutosi in politico corrotto, la ragazza anoressica e il palestrato violento, la vecchia fiamma che riappare, quarantenni in carriera a caccia di sesso bulimico, fra una corsia d'ospedale e l'attesa di un donatore, esoterismo da strapazzo e merdose vite di provincia.

Un teatro costruito ad arte da Montanari per mantenere grigia la zona che l'uomo senza qualità è costretto a esplorare: la coscienza e il suo doppio, l'inconscio dal torbido rimosso e dai paradossi ubiqui. Lì, forse, c'è (ci sarà o più probabilmente ci fu) anche il tempo dell'innocenza.

Raul Montanari
Il tempo dell'innocenza
Dalai Editore
275 pp., 17,50 euro

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Michele Lauro