Paolo Merlini e Maurizio Silvestri, 'dove comincia l'Abruzzo'
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Paolo Merlini e Maurizio Silvestri, 'dove comincia l'Abruzzo'

Due terranauti in autobus tra saperi e gusto. Metafisica esperienza interiore e sanguigna gratificazione dei sensi. Nel profondo Abruzzo, come direbbe Borges, tutto di nuovo "accade per la prima volta".

Un viaggio mitologico fra massicciate e dirupi, pecore e cani, motori ansimanti e rotaie abbandonate, tratturi, fantasmi, osti veggenti e maccheroni alla chitarra. Come hobos vagabondi Paolo Merlini e Maurizio Silvestri si danno appuntamento un giorno, zaini alla mano, su un bus della Start. Terranauti. La loro Argo è una corriera stravagante. Il vello d'oro da riportare a casa è la saggezza della strada, il sapere archetipico di un microcosmo abitato da anime migranti.

Ma come ogni romanzo che si rispetti, anche questo contiene un piccolo giallo: dove comincia l'Abruzzo ? Il fiume Tronto costituisce l'unico argine naturale di una regione che ha sempre mostrato "una certa insofferenza per i confini sentenziosi e rassicuranti segnati dalle carte geografiche". La prima tappa è quindi Antrodoco, abruzzese fino al 1926 quando fu annessa al territorio di Rieti per regio decreto. Gli autori scrutano i nomi delle strade, scartabellano carte, chiedono consulenza a Ulisse ma niente. Comincia così una solitaria, sovversiva transumanza. Per finire a ritrovare l'Abruzzo nelle parole della sua gente: rude, spartana, sincera, spavalda come il paesaggio.

Sulmona o Dalmazia? Ande o Gran Sasso? Valle del Sangro o Armenia? Leonessa o Cuzco? Fara San Martino o Kabul? L'esotico abbaglia dietro l'angolo di casa. Tagliacozzo e Conca Peligna, Scanno e Loreto Aprutino, Pacentro e Ortona. Fin dai nomi, potrebbero essere le Città invisibili di Calvino, le meraviglie narrate da Marco Polo a Kublai Khan, le architetture impossibili di Maurits Cornelis Escher che un giorno rimase stregato davvero davanti al profilo gotico di Castrovalva.

Sono invece il cuore di una terra che ancora pulsa, nonostante tutto, ai piedi dei suoi numi tutelari: Maiella e Gran Sasso. Lo yin e lo yang delle montagne. Giunonica, estroversa, femminile la Maiella. Intellettuale, introverso, maschile il Gran Sasso. Perfino l'Hotel Campo Imperatore sembra uscito da un film anche se le stanze le affitta per davvero. Immoto, geometrico, razionalista con la stanza del Duce conservata intatta dai tempi in cui le teste di cuoio tedesche si spinsero fin qui per liberarlo.

Mi piace di questi viaggiatori il passo fieramente antico e insieme contemporaneo. Hanno il gps in tasca ma il loro muoversi fuori dai circuiti ordinari li rende preposti all'incontro, all'imprevedibile. La lentezza permette di fare caso alla sorte degli uomini tanto quanto all'apparizione di borghi destinati a scomparire. Li accompagna per un tratto il fotografo Mario Dondero - il libro è impreziosito dai suoi bianchi e neri - altro personaggio dalla proverbiale mitezza capace di usare la macchina fotografica come un arcolaio a intrecciare relazioni umane.

Più istintivo sognatore e passionale Merlini, uno che è capace di scacciare la malinconia semplicemente deviando dalla via maestra, cioè salendo sul primo autobus che passa. Più riflessivo e analitico Silvestri, instancabile sobillatore di vecchi pastori, fornai, contadini, vinai, custodi di tradizioni appese ormai al filo della narrazione orale. Ci vogliono sensibilità, empatia, coraggio per ridare fiato a voci abituate al silenzio. Complici entrambi di un incantesimo: il godimento lento dell'andare. L'euforica sensazione di perdere un treno dopo l'altro, stregati dai profumi di un'anacronistica cantina. Di vivere adesso ma fuori tempo, in luoghi fuori dal tempo.

E come in ogni film che si rispetti, nel corso del viaggio la coppia si divide per ritrovarsi, quasi ormai sui titoli di coda, a L'Aquila. Che emozione varcare la soglia dell'epicentro d'Abruzzo. Sotto un lavacro di pioggia la città appare nuda come un cimitero di speranze. Violata, martirizzata, militarizzata, espropriata, brutalizzata dal cinismo della politica affaristica, L'Aquila continua a essere bellissima malgrado non abbia odori né profumi, e le sue opere d'arte siano ormai i "ponteggi fantasmagorici, reticoli degni di un'opera di Escher". Ma la definizione più poetica è quella di Giorgio Massari detto Ju Boss, gestore della prima taverna che riaprì dopo il sisma: "L'Aquila è come una rondine, se la stringi la soffochi, se la lasci se ne vola".

Fine delle utopie? No, anzi. C'è un acronimo che a Pescocostanzo spicca tra gli altri per il suo valore simbolico: EVA, ovvero Eco Villaggio Autogestito, poche case di paglia ma un'oasi di allegria nel silenzio della pietra. La speranza abita da queste parti. È un bene collettivo da coltivare giorno per giorno come apicoltori pazienti e tenaci. Questo ci terremo in serbo per tutte le sere di malinconia. Perché, come dice Merlini, "la felicità può essere di una facilità disarmante".

Paolo Merlini e Maurizio Silvestri
dove comincia l'Abruzzo
Exòrma
286 pp., 14,90 euro

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Michele Lauro