Il noir è diventato colorato
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Il noir è diventato colorato

Da Orson Welles a Camilleri: un genere che sfugge a ogni etichetta

Asfalti lucidi, locali equivoci, sordide periferie frequentate da pupe ricche e viziose: sono i classici fondali delle perfide dark lady e degli antieroi noir, fissati dai romanzi hardboiled e da film come Il grande sonno o Il falcone maltese.

Oggi non è più così: lo spazio mitologico di questo genere ibrido e trasversale s’è dilatato a inglobare tinte e sfumature tanto diverse, da far parlare di un vero Arcobaleno noir. Così suona il titolo del volume a più mani, curato e introdotto da Alessandra Calanchi, appena edito da Galaad (368 pagine, 16 euro). Tra escursioni nelle Mille e una notte o nella Shanghai del noirista cinese Xiao Bai, strizzatine d’occhio fra Alfred Hitchcock e Orson Welles, diaspore centroeuropee, derive nostrane e appendici scozzesi come il tartan noir di Ian Rankin, quel genere che credevamo di conoscere bene si nebulizza in un pulviscolo iridescente. Se ne esce con un’unica certezza: il noir c’è. Dove sia, ciascun lo dice (praticamente dappertutto), che cosa sia nessun lo sa.

Forse per questo, mentre deflagra ovunque, il noir ama sempre più spesso tornare sui suoi passi, quasi in cerca di rassicurazione. Nascono così gli apocrifi che riportano le care atmosfere d’antan, come La bionda dagli occhi neri(Guanda, 302 pagine, 17,50 euro), in cui Benjamin Black, alias John Banville, fa rivivere il Marlowe chandleriano riprendendo motivi e figure del Lungo addio. Morale? Nell’arcobaleno noir, il crepuscolo e la nuova alba del genere finiscono per confondersi. Neppure Marlowe saprebbe sciogliere l’intreccio.

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Roberto Barbolini