Marcela Iacub: "Care donne, fidatevi di me: diffidate delle femministe"
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Marcela Iacub: "Care donne, fidatevi di me: diffidate delle femministe"

La considerano una reazionaria del movimento. Soprattutto ora che ha scritto un libro in difesa di Dominique Strauss-Kahn. Su Panorama intervista alla paladina del sesso libero

di Luca Sebastiani

La bestia nera delle femministe uno se la immagina con un fisico congeniale alle prove di forza. Invece Marcela Iacub appare una donna esile e minuta. Anticonformista e pirata nel mare del perbenismo sessuale e ideologico, questa argentina paladina del neofemminismo libertario possiede un’appassionata vivacità polemica, senza compromessi e accondiscendenze. Un carattere ben temprato che, fra un sorso di tè e l’altro, emerge dalle sue prime parole sull’affaire Dominique Strauss-Kahn (Dsk), al quale ha dedicato un libro appena uscito in Italia (con il titolo Una società di stupratori? , edizioni Medusa). Una controrequisitoria che, smontando il discorso del femminismo moralista sulla vicenda, da una parte ne denuncia il fondo sessuofobo e dall’altra mette in guardia contro i rischi che corrono le conquiste uscite dalla liberazione sessuale degli anni Settanta. Inutile dire che il libretto ha fatto un gran rumore.

Come è stata accolta la sua voce eccentrica sull’affaire Dsk?
"Sul piano pubblico sono stata letteralmente fatta a pezzi e il libro è stato demolito. Sul piano personale, invece, la mia critica della posizione del femminismo moraleggiante egemone in Francia mi è costata parecchia inimicizia. E anche qualche amico scomparso dalla circolazione".

Non è la prima volta che le capita. Le rappresentanti del femminismo della differenza sessuale l’hanno sempre considerata una reazionaria al soldo del potere maschile. In passato le sue posizioni sulla prostituzione, la pornografia, la maternità surrogata e la desacralizzazione della sessualità le sono valse altrettanti attacchi…
"Certo, ma in occasione dell’affaire Dsk la faccenda è andata un po’ più in là. Io sono nata e cresciuta in Argentina, da adolescente ho vissuto il terrore dei militari e la limitazione della libertà di parola. E posso dire che non mi è mai successo, in 20 anni che vivo in Francia, di avere paura di difendere le mie idee. Eppure, nei giorni che hanno seguito l’arresto dell’ex direttore del Fondo monetario internazionale, nel 14 maggio 2011, c’era una pressione incredibile, un clima quasi intimidatorio".

Qual era la lettura delle femministe?
"Per loro il verdetto era chiaro: Dsk, uomo bianco e potente, era colpevole. Una donna, per di più di colore e di umili origini, l’aveva accusato e tanto bastava. I tribunali non si erano ancora pronunciati, ma la procura sotto la Tour Eiffel aveva emesso il suo giudizio. Non c’era spazio per i dubbi su quello che fosse successo nella famigerata stanza 2806 dell’Hotel Sofitel, né sulla verifica della verosimiglianza della versione dell’accusatrice".

E lei cosa sostenne di così eretico?
"Il libro che poi ho scritto in seguito a quei dibattiti tempestosi è il più conservatore che abbia pubblicato. In fondo vi esprimo concetti ragionevoli, mi sono limitata a ricordare certe regole basilari dello stato di diritto. Come la presunzione d’innocenza, alla quale le femministe hanno opposto un assurdo giuridico come la presunzione inconfutabile di veridicità della parola della vittima. Il punto è che alle guardiane dell’ordine simbolico femminista non interessava il caso particolare, ma la possibilità di trasformare Dsk in un simbolo della protervia maschile e Nafissatu Diallo (la donna di colore che l’ha accusato, ndr) nella vittima esemplare".

In molti l’hanno accusata di voler fare l’avvocato di Dominique Strauss-Kahn.
"La professione d’avvocato l’ho praticata in Argentina quando avevo 20 anni. Ora sono ricercatrice e mi interesso di cosa vogliano dire i fatti della società, in particolare le implicazioni della legge nella costruzione dei costumi, della sessualità. Dsk non lo conosco e per lui non nutro nessuna simpatia, come uomo e come politico".

Cosa dice del pensiero femminista in Francia?
"Che è ideologico, moralista e vittimista. Per loro il sesso significa dominazione maschile. Una società di stupratori? è appunto il titolo del libro perché questa visione della sessualità mette a rischio le conquiste della rivoluzione sessuale".

In che modo, scusi?
"Dagli anni Settanta non sono più il matrimonio e la riproduzione a stabilire il perimetro e la funzione della sessualità, ma è il libero consenso: stabilire ciò che è lecito o meno in una relazione sessuale. Ma se per queste femministe il consenso di una donna non è che un’illusione dietro cui si cela comunque una coercizione del maschio dominante, allora ci si può attendere che ben presto il concetto giuridico di consenso venga rivisto. Il fine ultimo è fare della sessualità il luogo del potere femminile, invertendo i rapporti di forza fin qui consolidati".

Come lo vede il sesso, lei?
"Prendersela con la sessualità vuol dire misconoscere il desiderio femminile, che non è abbastanza affermato nella società rispetto a quello maschile, e perciò c’è una sproporzione fra i due, anche nelle loro rappresentazioni. Bisogna allora proseguire sulla strada dell’emancipazione del desiderio femminile, la direzione opposta a quella del femminismo che, vittimizzandolo, tende ad allineare la società su una sorta di presunto pudore femminile, su una sessualità più inibita".

Più moralista e bigotta, insomma…
"Certo, perché spesso il loro discorso diventa la giustificazione ideologica di politiche pubbliche sempre più repressive in materia di costumi sessuali: la messa in discussione del libertinaggio o della pratica del sesso di gruppo negli spazi pubblici, la criminalizzazione dei clienti delle prostitute, l’allargamento del concetto giuridico di stupro, e così via".

La prostituzione è un altro terreno di scontro con le femministe storiche, che per la maggior parte sono abolizioniste.
"Il moralista difende solo la propria morale e non riesce a comprendere, per esempio, che anche la prostituzione può essere una libera scelta, un mestiere come un altro. Legalizzarla apporterebbe vantaggi per tutti: per le prostitute, che potrebbero lavorare in condizioni migliori, per i clienti e anche per la sessualità in sé. Perché indurrebbe la società ad accettare finalmente che esiste una sessualità puramente ricreativa, non necessariamente legata all’impegno o all’amore. Se due adulti sono consenzienti, possono fare sesso come e quando vogliono. Il limite è solo la violenza".

Il fatto che sul mercato il corpo diventi un oggetto di scambio non la turba?
"Il mercato non è il problema. Del resto il lavoro consiste nel vendersi. Perché è lecito fare massaggi, impartire corsi di lingua o cucinare mentre prostituirsi no? La prostituta offre un servizio. Il problema è che il sesso è considerato qualcosa d’eccezionale. Bisogna poter ammettere e non escludere che ci sia qualcuno per cui il sesso è qualcosa di normale".

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