L'ultimo ritratto di Malaparte firmato Orfeo Tamburi
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L'ultimo ritratto di Malaparte firmato Orfeo Tamburi

La biografia dell'autore de La Pelle e di Kaputt, scritta dal pittore, che si arende al piacere dell'amicizia

Non si capisce se sia un attore consumato o un impostore per necessità questo Curzio Malaparte e pure Orfeo Tamburi, che ne scrive il ritratto, si arrende al piacere dell’amicizia. Più che una biografia è una condanna fraterna al narcisismo dello scrittore irregolare e lo dice subito Tamburi  (pittore, incisore della scuola dei Mino Maccari, dei Longanesi) che in Malaparte come Me edito da Le Lettere, fa il bozzetto dello scrittore in forma di prosa. Mai l’Italia ha conosciuto un polemista tanto scomodo, ad eccezione di Pier Paolo Pasolini, come il dandy di Prato, lo scrittore che D’Annunzio usò come modello, che Mussolini temeva e che Indro Montanelli invidiava.

Fa parte infatti del più bel dissidio di questo paese il duello a colpi di penna che i maledetti toscani, Montanelli e Malaparte, intrecciarono sui fogli di giornale e che solo sul capezzale della clinica Sanatrix (la clinica dove Malaparte si spense il 19 luglio del 1957) si stemperò in una battuta che ne è la resa e che Montanelli giustamente vantava come merito: «L’unica cosa che mi dispiace è morire prima di Montanelli».

E però Tamburi che ne divenne amico come solo quelli veri, quelli che per tutta la vita si dànno del “lei”,  non scrive la vita, bensì ne cesella i ricordi,  di questo prodigio della polemica, autore di quei dischi da guerra che sono i suoi romanzi Kaputt e La Pelle, direttore de La Stampa, Prospettive, inviato del Corriere della Sera, avanguardista delle riviste Strapaese e Stracittà. E che dire ancora dell’ adesione di Malaparte al fascismo, poi al comunismo (con tanto di visita da parte di Palmiro Togliatti), addirittura con la solita conversione al cattolicesimo in punto di morte che la chiesa cattolica annovera come conquista insieme a quella di Renato Guttuso.

Insomma nel paese dei voltagabbana Malaparte ne è stato la caricatura per eccesso, unico a sfidare Mussolini per la bruttezza delle sue cravatte («le sue cravatte sono brutte anche oggi», si rivolge a Mussolini), fascista confinato dal fascismo, esiliato per sua volontà nella sua villa di Capri da dove, come ha rivelato lo storico Mario Canali, si inventava le corrispondenze dal fronte ucraino facendo infuriare l’allora direttore del Corsera, Aldo Borelli, che prorompeva in quello che è lo sfogo dei direttori: «Malaparte non rompa i …».

Ma è Tamburi, allora giovane disegnatore squattrinato come sono sempre i talenti, che lo rivela in tutto il suo narcisismo, quel sentimento di cui soffrono solo i fragili, a svelarlo in tutta la sua avarizia al punto da lasciare il pittore digiuno per andarsene tutto solo al ristorante “Bolognese” o spingere il conto a un industriale insultandolo senza ritegno: «E paga…». Ecco, non si capisce se sia un attore o uno scrittore e Tamburi lo conferma quando scrive «Malaparte recita», o nel momento in cui ingaggia duelli evitandoli naturalmente sempre, facendo la figura del vigliacco o quando in solitudine cercava i compagni per la cena.

C’è tutta la solitudine del giornalista nelle pagine di Tamburi illustratore per Prospettive, emigrato a Parigi insieme allo scrittore per disertare la guerra, l’Italia tutta, e ricorda il Noiret di “Amici Miei”, cronista che la sera, come Malaparte, telefonava per cercare compagnia, per desinare dimenticando i refusi del giorno, l’inchiostro, le aperture, gli strilloni. Tamburi lo accompagna in Francia, «perché in Italia non voleva pagare le tasse», a bordo della sua Citroen, che ne diventa compagno e ricorda gli inizi dei giornalisti questo disegnatore che Malaparte nonostante tutto cercava di aiutare assumendolo, commissionandogli disegni per libri che mai avrebbero visto la luce, ed è anche questa una sorta di solidarietà di corpo, il consiglio del maestro nei confronti del pittore e ci sarebbe una fitta schiera di letterati che hanno trovato nei pittori o nei fotografi il proprio complemento da Sciascia con Scianna, Flaiano in Longanesi, Barthes in Cartier-Bresson. Sarà un ritratto non a caso l’ultimo fotogramma di Malaparte che Tamburi dedicherà, uno schizzo dal suo letto ormai morente che come tutti i ricordi il pittore perde e che magari si ritroveranno tra le carabattole dei rigattieri come un’ultima corrispondenza cestinata in una delle tante redazioni del mondo.

Malaparte come me
Le Lettere
Pag. 110.  Euro 14

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