Libri e copertine, anche per imitare ci vuole talento
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Libri e copertine, anche per imitare ci vuole talento

È sempre molto difficile capire dove finisce un’idea e ne inizia un’altra, specie nel graphic design dove il passaggio da intuizione originale a soluzione acquisita avviene spesso in maniera impercettibile

È sempre molto difficile capire dove finisce un’idea e ne inizia un’altra. Non si comprenderebbero, altrimenti, le dispute sulla paternità della stampa a caratteri mobili, dell’invenzione del telefono, o più recentemente del concepimento del nuovo standard di user experience tra Apple e Samsung.

Lo stesso vale nel graphic design, con una differenza: il passaggio da intuizione originale a soluzione acquisita avviene spesso in maniera indolore (ma non priva di conseguenze). A dimostrarlo bastino titoli come 100 idee che hanno rivoluzionato il graphic design : tecniche, memi e approcci che da un certo momento in poi sono entrati nella cassetta degli attrezzi del grafico per non uscirne più.

Ma quali sono i limiti che un grafico dovrebbe rispettare? Dove finisce l’originalità? E ai confini dell’originalità troviamo necessariamente il plagio?

Il caso dell’immagine in cima a questo articolo è un caso virtuoso. A sinistra una copertina di 1984 di Orwell, a destra la copertina americana di 1Q84 di Haruki Murakami disegnata da Chip Kidd nel 2011 per l’editore Knopf. Per lettering (la disposizione su due linee del titolo di quattro lettere) e concept (uno sguardo che pare scrutare l’autore dall’interno del libro) il legame tra le due copertine è evidente. Ma l’operazione non disturba, anzitutto per i legami espliciti fra il testo di Murakami e quello di Orwell, in secondo luogo per la rielaborazione creativa  e aggiornata di un ottimo concept di per sé non abusato, ma soprattutto perché partendo dal prestito creativo originale (debitamente reinterpretato) il grafico ha prodotto una tale quantità di innovazioni da rendere la sua cover non solo a tutti gli effetti originale, ma addirittura uno dei migliori packaging mai progettati per un libro (questo video ne offre un buon saggio).

Questo quindi il caso virtuoso di una reinterpretazione creativa. All’estremo opposto, invece, ecco apparire il rischio di una rapida sclerotizzazione di temi e tratti: blog come quello della cacciatrice di copertine ci costringono a riflettere sul disseccamento della ricerca iconografica, e casi come questi sono spesso all’ordine del giorno. Crediamo sia difficile parlare di plagio nel graphic design, piuttosto di immaginario comune, aderenze, parallelismi, a volte sovrapposizioni, ma è comunque poco realistico pensare che tali scorciatoie possano avere senso sul lungo periodo: a correre dietro a qualcuno si finisce per arrivare sempre secondi.  

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Giulio Passerini