Franco La Cecla, 'Elogio dell'Occidente'
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Franco La Cecla, 'Elogio dell'Occidente'

Immigrazione, risonanza, stress e libertà: i nuovi paradigmi di un Occidente in decadenza

La prospettiva da cui guarda il mondo un antropologo ha un enorme vantaggio rispetto alla cronaca giornalistica: è come un teleobiettivo intelligente capace di zoomare ora sulla storia dei popoli ora sulla vita quotidiana delle persone, ora sui massimi sistemi ora sulle ansie, le emozioni, gli affetti, mettendo tra parentesi ogni visione preconcetta, campanilismi, settarismi, ideologie. Fedele a questo approccio antidogmatico, Franco La Cecla propone un Elogio dell'Occidente in controtendenza rispetto all'esotismo rancoroso di cui oggi appare vittima in particolare l'Europa. Seguire il suo ragionamento solido, pacato, avvincente porta una ventata di speranza. Perché un futuro di pace è possibile solo in un'Europa unita.

Nonostante. Così si intitola significativamente l'introduzione di questo libro, preceduta da una illuminante citazione dell'Autobiografia di Jawaharlal Nehru. Nel 1936 il padre dell'India moderna, di fronte all'antica cultura indù insidiata dal mercantilismo, previde che la civiltà occidentale avrebbe avuto la meglio. Non solo per la sua capacità di sfamare milioni di persone ma perché al suo interno era contenuto lo stesso "antidoto ai mali di questa civiltà spietata: i principi del socialismo, della cooperazione, e il servizio alla comunità per il bene comune". Simile in questo all'antico ideale brahamanico, salvo il fatto che avrebbe comportato l'abolizione delle caste, delle classi sociali. La storia poi non sarebbe andata esattamente così ma il discorso del professor La Cecla prende le mosse, proprio come Nehru, da quel nonostante.

Nonostante la sua lunga storia di fallimenti, nefandezze e prevaricazioni, il modello occidentale continua a poggiare le fondamenta su principi universali come la libertà dell'essere umano, il rispetto dei diritti e la separazione tra religione e politica. La vera attrattiva per gli immigrati che guardano come un miraggio all'Europa, spiega La Cecla, è la possibilità dell'anonimità democratica. Un concetto più sottile e profondo rispetto alle categorie classiche entro le quali iscriviamo la libertà: di pensiero, di stampa, di religione... È lo svincolo dall'oppressione microsociale, dalle regole imposte dalla fede, dall'appartenenza, dal comunitarismo, dai legami geografici e familiari.

Cosa rappresenta infatti l'Occidente per uno che vive ai margini? Cosa cerca e da cosa fugge davvero uno che si gioca la vita stessa per arrivarci? Non basta la ragione della sopravvivenza, delle condizioni materiali. Al fondo di tutto sta il sogno di una vita libera dalle costrizioni legate alle consuetudini sociali e ai dogmi della religione: la cultura del diritto, dice La Cecla riflettendo pensieri e umori dalla medina di Tunisi, dai monti del Caucaso, dall'India o dalla Cina. Nonostante tutta la sua inadeguatezza, la storia occidentale è infatti anche "la storia del diritto a dire no senza essere estromessi dai propri diritti e doveri di cittadino". E nella tragedia dell'emigrazione di oggi c'è il paradosso per cui l'Europa e l'America, che per migliaia di anni hanno cercato di convincere il mondo della propria superiorità, "vengono ora presi di mira dal desiderio di chi effettivamente vuol far parte di questa vera o pretesa superiorità".

L'Elogio dell'Occidente si compone di 35 brevi quadri densissimi di riflessioni sulle questioni capitali del nostro tempo. Con un eloquente neologismo, Europexit, La Cecla stana lo spettro che si aggira per le strade d'Europa: il tarlo del risentimento che vede nell'Occidente una realtà da abbattere. L'alibi dell'anti-globalizzazione fa gioco a Nigel Farage e Beppe Grillo, Erri De Luca e Serge Latouche, agli autonomisti catalani e ai protezionisti texani. Ciascuno con i propri distinguo, tutti deresponsabilizzati dalla parte dei buoni. Ma se "il pessimismo e il vittimismo sono la più grande vittoria della spietatezza del capitale", secondo La Cecla la tragedia delle sinistre europee nasce dal non saper più distinguere tra l'Occidente come blocco politico-militare-finanziario e l'Occidente come "costellazione culturale e deposito di umana esperienza".

È un'interpretazione convincente della crisi in cui sono precipitati gli orizzonti del pensiero occidentale. Colpevolizzando (giustamente) le forme politico-economiche del nostro sistema, si è finito per dimenticare quel qualcosa di più che le trascende e che affonda le radici, per esempio, nella storia e nel mito, nella cultura e nella composita geografia dell'Europa. In quello spazio dove gli individui sono potenzialmente tutti uguali risiede la "differenza" europea e occidentale. Non ha nulla a che fare con l'UE, il fondo monetario, i tetri burocrati che smuovono i capitali: ma l'importanza di questa geografia umana viene percepita più fuori che dentro i suoi ondivaghi confini.

"È probabile che sarà l'emigrazione e salvare l'Occidente". L'autore conclude con un auspicio, fedele al principio dell'antropologia della storia secondo cui le persone sono molto più ricche delle teorie che le riguardano. La chance dell'Europa, il suo futuro si gioca tutto nel saper predisporre delle condizioni di accoglienza che portino all'integrazione. Ci vuole un continente forte che apra le sue frontiere, ma nel rispetto delle regole di convivenza che i suoi popoli si sono dati. È un'impresa, una scommessa, una buona occasione simile a quella di cui parlò Tiziano Terzani nella Lettera da Orsigna all'indomani dell'11 settembre. Anche oggi, se vogliamo capire il mondo in cui siamo "lo dobbiamo vedere nel suo insieme e non solo dal nostro punto di vista".

Franco La Cecla
Elogio dell'Occidente
elèuthera
176 pp., 14 euro

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Michele Lauro