Un'invincibile estate
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Filippo Nicosia, "Un'invincibile estate" - La recensione

Una storia di formazione sullo Stretto, il fiume marino che rimescola le correnti e condiziona gli umori isolani

"Ci sono padri, padruzzi e padrazzi" sentenzia un verso di Nino De Vita, l'ispirato poeta di Marsala appena tornato in libreria con una raccolta sulla solitudine, Sulità. Nel magnifico, crudo apologo intitolato Infuriato uscì sceneggia un tabù familiare antico come il mondo: fratelli, o meglio figli dello stesso padre, in lotta per un lascito diseguale. Alla stessa radice mitologica e affettiva attinge, all'estremo opposto della Sicilia, il messinese Filippo Nicosia per il suo romanzo d'esordio: Un'invincibile estate. Titolo tratto da una citazione di Albert Camus che vale la pena riportare per intero: "Imparavo finalmente, nel cuore dell'inverno, che c'era in me un'invincibile estate".  

Per questo (non) mi chiamo Giovanni

Lo stato d'animo della stagione appena iniziata è una faticosa, dolorosa conquista per Diego, ventenne protagonista e voce narrante. Nato il 23 maggio 1993, presto orfano di madre, da sempre festeggia il compleanno in cucina col padre, spegnendo le candeline davanti alla tv mentre si commemora la strage di Capaci. I suoi coetanei si chiamano quasi tutti Giovanni. Lui no, per un motivo banale e fondamentale per lo sviluppo della storia. Ma l'eccidio mafioso rimane sullo sfondo, con qualche puntura ben assestata qua e là ("è più facile ricordare qualcuno che combattere la sua stessa battaglia"), a sorvegliare le dinamiche sociali del Villaggio Santo Case Gescal, rione di Messina con vista sull'autostrada. 

Nella famiglia di Diego - un padre, un figlio - la violenza è una convitata quotidiana, una "particolare consistenza dell'aria", il manifesto del maschio dittatore. Violenza e vita, visceralmente intrecciate come se fosse impossibile staccarle. Ma lo scherzo più atroce il padrazzo glielo gioca una sera, quando si fa trovare con la faccia riversa su un piatto di spaghetti, fulminato da un ictus. Con questa scossa comincia il libro. Con l'apprendistato di Diego all'età adulta, costretto improvvisamente a fare i conti con una realtà un po' diversa dal tran tran a cui era abituato, ripartito fra le lezioni all'università (Lettere), il lavoro nella cucina di un ristorante (spiando le mosse dello chef) e il rapporto con Ester, una fratellanza sentimentale che non riesce a evolvere. 

Quando un allampanato fratello giunge a scoperchiare i misteri del passato famigliare, intorbidati dai silenzi e dalle menzogne, Diego comincia a percepire addosso l'impronta dei codici affettivi da cui è stato deprivato. Odorava di solitudine, dice depositando il padre nella bara. Una sensazione sfuggente come di una malinconia passeggera, scioccante come un pugno sferrato senza controllo: il bisogno segreto che ci tormenta, quello di ri-conoscere dopo la morte il nostro padre sconosciuto, cercando indizi per interpretare un'eredità emotiva. Cercando tracce d'amore dietro l'apparenza per non lasciare campo libero alla rabbia, perché alla fine la "rabbia è soltanto il proprio fallimento che si deposita".

Realtà e immaginazione tra Scilla e Cariddi

Ma questi sono soltanto pensieri. In realtà Un'invincibile estate trascina con sé in Vespa, sospinti dallo scirocco, verso una salsedine di slanci. Diego si abbandona al vortice dove l'intelligenza cede la strada alla passione. E dove la coesistenza degli opposti - violenza e bellezza, rabbia e tenerezza, poesie e fornelli, coraggio e paura, amore e dolore, silenzio e clamore, isola e continente, cuore e cervello, tempo e controtempo - costituisce l'ingrediente fondamentale, la spezia che rende i contorni della vita più incerti ma coloratissimi. L'orizzonte è ampio e senza filtri anche nella scelta dei mentori, o per meglio dire nell'istinto di seguire una strada piuttosto che un'altra, in un arco teso che va da Andrea Pazienza a Vincenzo Consolo, dalla imprendibile Martina allo chef Lillo che con il suo esempio fa intravedere a Diego un altro futuro.

E proprio gli orizzonti metafisici dello stretto di Messina costituiscono il leit motiv - anche autobiografico - di questa bella e siciliana opera prima. "Quale delle due sponde è l'inferno, Caronte?" si chiede Diego attraversando viadotti e cantieri, case abusive, spiagge coperte di erbacce e siringhe, zone militari e centrali di raffinamento in disuso, fino all'area degli imbarchi. Lo squallore periurbano è compensato dalla pulsante vitalità delle periferie da cui l'autore estrae un succo dolceamaro: l'identità di provincia. Paura e attrazione si mescolano ogni giorno per quel mare gelido in cui nuota con vigore, per quell'altra terra così separata e vicina che si sente condannato a desiderare.

Anche se partire è difficile, doloroso, quello che davvero conta alla fine è la possibilità, in qualunque momento, di migrare senza sentirsi in colpa. Per poi magari ritornare. La chance di ogni invincibile estate: scegliere di partire, ribellandosi a un destino preordinato. Oppure leggere un libro. Dato che i libri, come ben sa l'ex libraio itinerante Filippo Nicosia e come si legge nella lirica eponima di Nino De Vita, "stanno fermi ma dentro hanno una vita intensa: ci sono gli scapestrati, i libertini, i chiusi di carattere... Nascondono tesori, le carezze dell'uomo che chinato a pensare, a scrivere sui fogli, sa che ci sono".

Per approfondire

Fabio Geda, Anime scalze
Matteo Ferrario, Dammi tutto il tuo male

Filippo Nicosia
Un'invincibile estate
Giunti
218 pp., 15 euro

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Michele Lauro