Sono figlio di un terrorista, questa è la mia storia
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Sono figlio di un terrorista, questa è la mia storia

Cresciuto nell'odio, sceglie la non violenza: la storia di Zak Ebrahim è ora un libro

È il mese di marzo del 2014: Zak Ebrahim ha 31 anni, i capelli brizzolati e occhiali con lenti spesse. Sale sul palco delle conferenze TED e dice: "Io sono figlio di un terrorista, ma non sono come mio padre". Nell'arco di nove minuti traccia un riassunto della propria esperienza; la versione completa si trova nel libro The Terrorist's Son, scritto con l'aiuto del giornalista Jeff Giles e pubblicato negli Stati Uniti a inizio settembre.

L'inizio di tutto quanto
5 novembre 1990: è notte fonda e Zak è un bambino di sette anni che dorme indossando un pigiama delle Tartarughe Ninja. La madre lo sveglia bruscamente, gli dice di raccogliere le sue cose perché devono scappare dalla loro casa di Cliffside Park, in New Jersey. Zak è intontito dal sonno, capisce che è successo qualcosa di grave e che riguarda suo padre: teme che abbia avuto un incidente o addirittura che sia morto.

Suo padre si chiama Norair El-Sayyid ed è un ingegnere egiziano convertito all'estremismo religioso. Il 5 novembre 1990 entra nel Marriott East Side Hotel di Manhattan e assassina il rabbino Meir Kahane, fondatore della Lega di Difesa Ebraica. Zak ricorda che suo padre "inizialmente non fu riconosciuto colpevole dell'omicidio, ma mentre si trovava in carcere per imputazioni minori, insieme ad altri uomini cominciò a pianificare attentati da compiere in luoghi simbolo della città di New York".

L'attentato alle Torri Gemelle
Quando Zak ha dieci anni, uno degli attacchi pianificati dal padre ha successo, almeno in parte: l'idea è di piazzare un furgone imbottito di esplosivo nel parcheggio sotterraneo del World Trade Center, in modo che la deflagrazione causi l'implosione delle Torri Gemelle. Le Torri non crollano, ma 6 persone perdono la vita e oltre 1000 riportano ferite. È il 26 febbraio 1993.

"L'odio omicida non è un fenomeno naturale. È una bugia in cui mio padre credeva e che ha sperato di trasmettere a me."

Nel frattempo la vita del piccolo Zak è sballottata da una città all'altra, sempre in movimento, impossibilitato a stringere amicizie solide, educato dal padre all'odio: "C'è una ragione se l'odio omicida deve essere non solo insegnato, ma inculcato con forza nella mente delle persone: non è un fenomeno naturale. È una bugia, una bugia ripetuta ancora e ancora e spesso a persone che non hanno risorse e alle quali viene negata una visione alternativa del mondo. È una bugia in cui mio padre credeva e che ha sperato di trasmettere a me. Ho passato la vita cercando di capire cosa spinse mio padre verso il terrorismo, e cercando di venire a patti con l'idea di avere il suo stesso sangue nelle vene".

Oltre all'odio
La presa di coscienza di Zak Ebrahim è lunga e difficile, ma alcune esperienze positive, al di fuori dell'opprimente contesto famigliare, cominciano a fare la differenza. Incontra persone con le quali si trova bene e lavora in armonia, e quando in un secondo momento scopre che sono di religione ebraica, oppure omosessuali, capisce che il rispetto e l'apertura mentale rappresentano una prospettiva di vita possibile.

"Sono stanca di odiare le persone."

Ne parla con la madre: "Lei mi guardò con gli occhi stanchi di chi ha provato tanto dogmatismo da bastare per una vita intera e mi disse: sono stanca di odiare le persone. In quel momento mi resi conto di quanta energia negativa richiedeva tutto quell'odio". È il germoglio che porta la famiglia a tagliare i ponti con Norair El-Sayyid e iniziare una nuova vita – un elemento esteriore, ma carico di significato, è il cambiamento di nome ("Zak Ebrahim non è il mio vero nome").

Questa è la mia battaglia
"Perché ho deciso di uscire allo scoperto ed espormi a un potenziale pericolo? È semplice, lo faccio nella speranza che qualcuno, un giorno, costretto a utilizzare la violenza, possa sentire la mia storia e rendersi conto che c'è un modo migliore. Che malgrado io sia stato sottoposto a questa ideologia violenta e intollerante, non sono diventato un fanatico. Ho invece scelto di utilizzare la mia esperienza per contrastare il terrorismo, l'intolleranza. Sono qui a prova del fatto che la violenza non è intrinseca alla religione o alla razza, e un figlio non è tenuto a seguire le orme del padre".

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Aldo Fresia

Scrivo di cinema e videogame. Curo e conduco la trasmissione radiofonica Ricciotto.

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