Se non è l’amore sarà la bomba – ospite: Luigi Bernardi
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Se non è l’amore sarà la bomba – ospite: Luigi Bernardi

Chi, come me, è convinto che l’amore abbia a che fare più con la malattia mentale che con la felicità, chi trova più attinenze con le proprie storie d’amore in un trattato di mineralogia che non in un libro di …Leggi tutto

Chi, come me, è convinto che l’amore abbia a che fare più con la malattia mentale che con la felicità, chi trova più attinenze con le proprie storie d’amore in un trattato di mineralogia che non in un libro di poesie, chi infine si annoia a leggere edificanti apologie dell’amore romantico come stato di grazia, o fortuna universale, o dono divino, o costruzione umana, come se si trattasse di una cosa reale, piacevole, auspicabile, chi dicevo è fatto a tal modo preferisce i romanzi in cui l’amore è foriero di storie meschine, ingrate, meglio ancora se apocalittiche, con fini non lieti, separazioni, dolori, solitudini. Le storie di amori infelici, gli unici degni di considerazione letteraria.

Lungi da me il volervi convincere che lo stato di «ebetudine stuporosa» in cui ci mette l’innamoramento non abbia nulla a che vedere con le descrizioni edulcorate delle svariate tonnellate di romanzi d’amore che sono stati scritti e pubblicati, se la pensate diversamente: d’altra parte, c’è anche chi crede che le estasi dei santi siano vere, e che le stigmate siano il segno dell’amore di Dio. C’è un po’ di tutto su questa terra.

A me piacciono gli scrittori che sanno come stanno realmente le cose

cioè così (Charles Baudelaire, Il mio cuore messo a nudo)

e non hanno paura di scriverlo. Mi piacciono quelli che fanno dibattere i propri personaggi in quella palude di fraintendimenti, abbagli, incomprensioni, dispetto, incredulità, menzogna, ricatto emotivo, allucinazione, percossa interiore (reciproca), obnubilamento e perdita di tempo che userei come metafora per descrivere, in poche parole, l’amore.

Sono una lettrice sadica, che gode a vedere i personaggi boccheggiare nel loro misunderstanding esistenziale? O sono, invece, una lettrice masochista che prova piacere nel vedere l’autore infierire sul proprio – di lei stessa – disagio? Boh.

Però ho trovato un libro che fa per me.

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Luigi Bernardi, Maddalena e le apocalissi, Senzapatria ed.

Quanto è sadico uno scrittore che fa subire al suo personaggio una metamorfosi in pesce – con tutti gli inconvenienti del caso tipo dover diventare anaerobico e perdere le braccia – ad opera di una donna che vuole sottrarlo a un mondo in rovina, in un estremo gesto di amore/violenza? Che fa regalare una replica dell’11 settembre a un uomo innamoratissimo e disperato da una donna che lo lascia? Che mette due personaggi furenti, legati dal delirio e dalla sodomia, dentro una guerra post-nucleare in cui sono entrambi arruolati, e fa loro seminare bombe nelle tubature a scapito anche della fazione per cui lottano, fino al sacrificio supremo? Che letture fa uno così? Cos’ha che non va?

Noi di Carnation siamo andati a scoprirlo.

«L’amore vince tutto», Luigi: questa è una frase che io trovo spaventosa. Se l’amore vice tutto cosa lo distingue dalla malattia, dalla morte, dalla catastrofe nucleare? Tu lo confermi: la prossimità tra amore e devastazione del mondo, e anche del corpo, è disturbante, evidentissima.

L’amore è perdita di coscienza e di conoscenza. Una trappola per il cervelli e tutti i sensi. L’amore è come condannarsi al confino e non vedere altro oltre questo confino. Che del resto, se si avesse la possibilità, avrebbe la forma dell’esclusione finale. Ma poi, perché, le mie ti sembrano storie d’amore?

No, non nel senso comune. Ti faccio un esempio: a un certo punto dici «mi piacerebbe sparare ai gabbiani, che forse è quello che vorrei fare per il resto della vita». E per un attimo, davvero, anche il lettore pensa che sia una cosa bellissima e potente. Ovviamente, non sto parlando di una fascinazione per la violenza, ma di un sentimento di ammirazione per una letteratura dell’eccesso che scavalca i luoghi comuni. I gabbiani sono abusati sentimentalmente… li colleghiamo al mare, dimenticando che stanno per lo più sopra le discariche (mi ricordo una scena di Provaci ancora Sam in cui Woody Allen riesce a metterli al posto giusto ma a rendere le cose anche romantiche). Un conto è farlo (deprecabile), un conto è scriverlo; penso che sia bello che qualcuno l’abbia scritto. 

Pensa che l’ultima volta che ho visto uno stormo di gabbiani ho avuto paura che cambiassero direzione e mi si avventassero contro. Succederà. il nostro rapporto con gli animali sarà presto destinato a cambiare. I branchi di randagi che scorrazzano di notte per le vie delle città prima o poi uccideranno, così come i cinghiali che scendono sempre più spesso a valle. I babbuini sono in grado di distruggere una cittadina in poche ore. Tutto questo avviene perché ci abbiamo messo il becco noi, cercando di salvare specie che non andavano salvate.

Questo per dirti che credo che il sentimentalismo nei confronti degli animali, in letteratura, abbia il potere di occultare il grande grado di violenza che noi esercitiamo su di loro; le foto dei cani e dei gatti sui social network, per come la vedo, sono il corrispettivo della pornografia che vuole l’uomo schiavo della donna, e del sentimentalismo letterario: occultano la verità, che invece è fatta dell’esatto contrario.

Ci diciamo darwinisti e ci comportiamo come creazionisti: guai a chi ci tocca la nostra bella arca di Noè che piace tanto ai bambini. Sarà un animale che ci seppellirà.

La mappa della zona che i due amanti correi di un’umanità allo sbando (oltreché di loro stessi come tutti gli amanti) devono far esplodere è a forma di cazzo. Dimmi che è un’allegoria, e io sarò salvata.

Cara mia, come puoi distruggere la comunità se ne lasci in piedi il principio costitutivo?

«rosa pallido»

Il primo dei tre racconti è una metamorfosi: l’uomo diventa pesce perché lei, la donna-maga-sirena, l’ha trasformato a sua immagine. La cosa che mi ha impressionato di più è la descrizione della percezione del protagonista di non avere più le braccia, insieme alla consapevolezza che tutti i libri che ha letto non gli serviranno né a evitare la morte né a trovarla come estremo sollievo. Mi sembra, anche questa, una buona allegoria della perdita della manualità, del linguaggio e del sapere tecnico che l’amore causa. Hai scritto dei frammenti di un corpo amoroso.

Sono frammenti di una favola che ci stiamo raccontando, dal miti dell’isola felice a quello della montagna incantata. Favole che costano, in tutti i sensi, più di una cella ad Alcatraz.

Intendo che hai raccontato l’ossessività, il controllo, il sadismo, i narcisismo, la tenerezza egoista (infantile), la suzione predatoria, l’incorporazione oppure la negazione del corpo “civile” (mediante metamorfosi indotta) dell’altro. È più questo l’amore, che non la fusione e l’unione come dici in un passo.

L’amore ha come unico fine fisicamente rilevante il godimento, l’eiaculazione. Come arrivarci è ancora una scelta individuale. Salvo che, come sempre quando ci mettiamo d’impegno, ci complichiamo troppo e godiamo di meno.

A cosa ti servono i tuoi libri? Sono una zavorra a quel godimento, o no?

I libri sono un cancro che parte in metastasi lungo tutta la casa che li contiene. Si prendono tutto. Evitano ai muri di respirare. Obbligano a fissare lo sguardo su quadri che si compongono e ricompongono sotto la frenesia nostra di farcene stare di più. Per il sapere ne basterebbero cento per ciascuno di noi. Ma siamo drogati e allora andiamo in overdose, accumuliamo non già elementi di sapere, ma pezzi carta incollati insieme. Il confine fra la sapienza e la stupidaggine lo si supera quando si toglie spazio a se stessi per darne a “loro”. Anche qui, invece di comportarci da darwinisti siamo creazionisti.

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«Li ho dovuti mettere in cantina, sopratutto i fumetti»

Nel secondo racconto, Il gioco di M., lei regala a lui una copia in diretta dell’11 settembre. Mi sembra una trovata narrativa geniale, e bellissima. Quando Stockhausen disse che l’attentato alle Torri gemelle è stata la «più grande opera d’arte che sia mai stata realizzata», collegando quella disastrosa bellezza estetica al sentimento del sublime, tu devi essere stato in ascolto, mentre si levavano gli scudi mondiali della moralità. In più nel tuo racconto c’è il riferimento a un desiderio di purezza, di pulizia, di eliminazione del mondo esterno: l’amore sconfina col nazismo, col terrorismo. L’erotismo che è sempre correità in un delitto, come dicono Bataille e Baudelaire.

La chiave è nella frase finale: «Finalmente faremo l’amore sulle rovine del mondo». L’amore fra il narratore e M. è di quelli che trascinano verso la distruzione di tutto quello che hanno intorno, pur di potersi sfamare. Il loro amore è una bestia sempre in caccia, le ghiandole che pompano tutte le adrenaline e i feromoni possibili. Se la bestia si ferma un solo istante tutto svanisce. L’amore deve nutrirsi di se stesso, è un cannibale affamato. Azzanna il corpo del partner ma anche le due idee. Fomenta la catastrofe come dono estremo, irripetibile e indimenticabile.

L’11 settembre è una grande opera d’arte, un quadro sapiente e irripetibile, realizzato senza una sola sbavatura. Nessuno è riuscito a parlarne se non improvvisando parole che rimarcavano la loro povertà davanti all’evento. Solo Don DeLillo c’è riuscito, nel capitolo iniziale di L’uomo che cade, ma si è talmente spompato da rendere inutile e confuso il resto del romanzo.

E cosa controregali a uno che ti fa un regalo simile. Insomma è vero che uno dei due ama sempre di più. E per uno dei due l’amore dell’altro è sempre insufficiente.

Sto pensando quando il narratore dovrà restituirglielo. Non mi è ancora venuta in mente nessuna soluzione così perfetta.

Mi interessano le tue manie: i personaggi del tuo libro non fanno cose strane, nel senso che all’esterno si comportano razionalmente e anzi le loro opinioni sono logiche, non delirano, fino a che non compiono l’evento delittuoso. Cioè, sembrano più matti gli altri intorno. Questa è la tua bravura e, detto per inciso, è la qualità degli scrittori bravi: creare una realtà irriguardosa del vivere civile e del pensare comune, una via per la devianza in sé coerente. I discorsi riguardo pazzia/sanità, mania personale/follia sociale, meccanismi di controllo sociali/coercizione sociale (per es. attraverso il lavoro) o vengono detti nei saggi, e perdono la loro potenza, o vengono trasformati in racconti sulle proprie ossessioni.

È così, sì.

E tu? 

Mh?

Sono compulsivo, accumulo e tengo tutto in ordine. Detesto non sapere dove stanno le cose. Detesto avere due luoghi dove tenerle perché cerco sempre qualcosa che sta dall’altra parte (per esempio, prima ti volevo fotografare un quadretto con la frase finale de Il gioco di M. e non l’ho potuto fare perché non è dove sono io adesso).

No, ma dico: manie vere. Mica sarai normale.

Spesso mi addormento pensandomi un cecchino. Studio piani elaboratissimi per diventarlo. Il cecchinaggio è una forma ignobile di esistenza. In “Senza luce” (ma anche in altri miei romanzi che usciranno) cerco di restituirgli una dignità. la dignità che oggi meriterebbe perché è l’unica forma di lotta possibile, come l’hackeraggio di cui rappresenta l’evoluzione tecnologica. In un mondo individualista, solo l’individuo può elevarsi a giudice supremo e decidere del resto del mondo. Poi va da sé che quando c’è da fare la cosa mi metto pazientemente in fila ed è più facile superarmi che il contrario.

Fammi vedere i tuoi libri.

I libri *preferiti* di Luigi

Tu hai a tendenza a svicolare dal mio libro, e io invece vorrei costringerti a parlarmene. Qual è dei tre racconti che ti è piaciuto di più?

Qui le domande le faccio io (era una vita che volevo dirlo). Non so quale mi è piaciuto di più. Guardando le sottolineature direi il primo, quello della metamorfosi, ma non sono d’accordo con le mie sottolineature. Forse mi è piaciuto più il terzo, Fuoco sui miei passi, più feroce e immaginifico. Comunque è un libro prezioso, nel senso che non ho intenzione di regalarlo, distruggerlo o buttarlo. Coi libri che non ho amato lo faccio, tu?

I libri li amo, ma so anche odiarli. Quando mi capita di odiarli pretendo che la mia copia sparisca dalla faccia del mondo e non infetti nessun altro. Straccio le pagine, svello le rilegature e il più delle volte il tutto finisce in un sacchetto che vado a gettare nella spazzatura indifferenziata. Perché la carta usata per stampare quel libro non merita neppure di essere riciclata.

Di che disturbi soffri, o meglio godi? Manganelli diceva che il peperoncino occupava lo spazio mentale del peyote, per lui.  Qual è il tuo peyote? O, visto che sei qui, il tuo latte?

Caffè. Non vivo senza caffè. Avevo due moke

Moke?

… identiche, una delle quali mi serviva per sbollentare quello che usciva dalla prima moka, travasandolo, con il beneficio supplementare di mescolarlo. Poi sono passato alle macchinette espresso. È stato amore a prima vista, presto finito per l’imperfezione di quelle macchine, incapaci di mantenere sempre la pressione giusta. Adesso sono passato al Nespresso. Due capsule di ristretto appena mi sveglio, una dopo pranzo. Per il resto della giornata quantità di decaffeinato intenso unito al decaffeinato lungo. Devo sempre avere il sapore del caffè sulla lingua.

Va bene.

Va bene?

Sì.

Mi fai paura.

Bene.

 

(Musica consigliata per la lettura del pezzo)

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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