Questo cucchiaino lo ha messo in bocca lei
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Questo cucchiaino lo ha messo in bocca lei

«Si è mai visto un uomo di classe come me leccare un cucchiaino», solo perché la sera prima una donna l’ha usato per mangiare il gelato? «Impossibile», dice l’autore, «personaggi del mio calibro disquisiscono di Goethe con la …Leggi tutto

«Si è mai visto un uomo di classe come me leccare un cucchiaino», solo perché la sera prima una donna l’ha usato per mangiare il gelato?

«Impossibile», dice l’autore, «personaggi del mio calibro disquisiscono di Goethe con la gioventù più eletta, la domenica mattina». E invece la passione fa fare cose strane e umilianti, e trarre piacere da quell’umiliazione come l’ultimo degli egoisti. Infatti si sa che «gettarsi ai piedi di qualcuno è più bello per chi si prosterna che non per colui davanti al quale si cade in ginocchio».

Fortuna che qui a fare da schermo a Robert Walser, uno dei più grandi scrittori dell’Europa appena uscita dalla prima guerra (prova generale con fondali di piombo di quel teatro sanguinario che pochi anni dopo vedrà vincere un orrore senza clemenza) ci sia un «disutile», un «inetto», un «mediocre» e un «Brigante», «un alter ego che non mi ubbidisce», marionetta a cui far assorbire tutti i colpi e le loro delizie.

La sua voce emerge dal languore psicotico di una scrittura minutissima, a matita (il manoscritto-microgramma, scritto attorno al 1925, fu ritrovato dopo il giorno di Natale del ’56, quando Walser morì dopo ventotto anni di manicomio “volontario”, allucinazioni visive e auditive, e una passeggiata nella neve): «Il mio dolore per lei è simile a una trave portante, dalla quale ancora altalenano gaiezze».

Lei è Edith, prima parola di un incipit strabiliante:

«Edith lo ama. Ulteriori ragguagli in seguito».

Non appena ha preso in mano la penna», disse Walter Benjamin di Walser, «entra in uno stato di disperazione. Tutto gli sembra perduto». È vero. Ecco perché i ragguagli, ironicamente anticipati, si arrotolano tra pensiero magico, sudditanza psicologica, desiderio di umiliazione.

Pensiero magico: «Oggi è piovuto un po’, e lei dunque lo ama».

«La sera, prima di coricarsi, si metteva ginocchioni sul pavimento della sua mansarda dai muri sghembi, a pregare Dio per lei e per se stesso, e di primo mattino la sommergeva delle più beate professioni di gratitudine e di centomila, ovvero innumeri sdilinquimenti».

Sudditanza: «Lei può benissimo mandarlo a lavorare, mettendo come condizione che il compenso vada tutto a lei, e che, per ripagarsi della fatica, gli sia concesso solo di vederla una volta all’anno. A un tipo come il Brigante bisogna infatti accollare degli incarichi, perché è smanioso di servire».

Umiliazione: «Giù la testa, Brigante! Gettati ai piedi di una chellerina! È tempo, ormai, che tu ubbidisca!».

Il Brigante agisce sotto le tiranne della sua fantasia, proviene dalla follia nella quale naufragherà il suo creatore: «immenso e folle» è il modo in cui ama Edith, «devoto e impertinente in sommo grado», tanto che Walser ha bisogno di reggersi a un corrimano: noi che leggiamo. «Aspettate un attimo. Lasciatemi riflettere. Sì, va bene, va bene».

Poi il panico – la timidezza, il suo pudore svizzero – suscitatogli da questa vicenda d’amorazzi e revolver, gli fanno sospirare «Dio dell’esattezza dammi la forza di illustrare ogni cosa a puntino».

E dunque la cosa imbarazzante, illogica, consequenziale del cucchiaino: «leccò, figurandosi di essere il suo valletto, il cucchiaino. Accadde nella di lei cucina».

«Questo cucchiaino», pensa, «lo ha messo in bocca lei. La sua bocca è bella, pare dipinta. Il resto è cento volte meno bello della bocca, appunto, e io dovrei forse esitare a celebrare ciò che di bello è in lei, baciandone, direi quasi, il cucchiaino?».

Ma gli basterà l’averlo fatto, o vorrà anche confessarlo, assecondando il nostro desiderio? L’autore lo ripara dal nostro voyeurismo: «Come avrebbe sgranato gli occhi, lei, se solo avesse potuto assistere alla scena. Meglio non immaginarselo nemmeno».

Ma poi, contraddicendosi, violando la regola da sé stabilita, cede: «Una sera, verso le dieci, al termine di una discussione, che aveva per oggetto la Pulzella di Orléans, le confessò cosa fosse solito fare la mattina presto con il suo cucchiaino della sera».

Nessuna pietà per il suo alter ego: «Questa storia rappresenta per il Brigante, senza dubbio, una figuraccia di prim’ordine. Naturalmente noi gliela perdoniamo di cuore: infatti è tipo a cui piace vergognarsi. Non troppo». E, come se non bastasse «ora dunque aveva messo a segno una considerevole impresa in campo erotico».

I “ragguagli” su annunciati generano l’epilogo insieme più assurdo e più giusto: Edith lo ama al punto che quando lui le rimprovera di aver sposato un mediocre tira fuori un revolver e gli spara, in chiesa, diluendo i toni della tragedia nei clangori di un’orchestrina ungherese.

«Dalla scala del pulpito gocciolava prezioso sangue brigantesco. Giammai sangue più intelligente fu versato».

Dimesso e guarito, ormai famoso per il gesto subito, il Brigante sperimenta l’assedio, il destino di perdonarla: «Centinaia di sottanelle simpatizzano per lui. Quando uscì dall’ospedale, sulle prime restò lì immobile, in strada, per una buona mezz’ora, poi fece qualche passetto, si fermò di nuovo e gridò: “Dappertutto è solo lei. Lei è il cosmo”».

Una volta compreso questo, di conseguenza, Walser può affondare nella neve: «l’hanno dimesso, sano e salvo, da tutti gli ospedali del mondo».

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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