L’amore consiste nel desiderio di dimenticarsi (e comunque è meglio di no)
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L’amore consiste nel desiderio di dimenticarsi (e comunque è meglio di no)

La grandezza, geometricamente perfetta, non di uno scrittore, ma del personaggio di un libro di questo scrittore, un certo Vasia Pozdnyšev. Durante un viaggio in treno, prende la parola: verso i trent’anni ha sposato una ragazza, che gli …Leggi tutto

La grandezza, geometricamente perfetta, non di uno scrittore, ma del personaggio di un libro di questo scrittore, un certo Vasia Pozdnyšev.

Durante un viaggio in treno, prende la parola: verso i trent’anni ha sposato una ragazza, che gli piaceva molto, anzi, ne era proprio innamorato. Ma subito dopo le nozze si era reso contro che l’attrazione nei suoi confronti era solo il mezzo attraverso il quale aveva ingannato sé stesso, forse a favore della specie, dato che la donna comincia a sfornare bambini al ritmo di uno ogni nove mesi.

La donna è una pianista dilettante, che la sera suona per amici ospiti. Tra questi, compare un giorno un giovane violinista, un damerino «gli occhi roridi molto allungati, ridenti labbra vermiglie, i baffetti impomatati, un taglio all’ultima moda», con cui la donna suona spesso la Sonata per violino e pianoforte op. 47 che Beethoven aveva composto per il violinista Rodolphe Kreutzer. Insomma per farla breve, Vasia perde la testa, e cogliendoli un giorno in colloquio uccide la moglie. Il damerino scappa, e siccome lui si era tolto le scarpe per non fare rumore, rinuncia a rincorrerlo perché  è «ridicolo correre in calzini dietro l’amante della propria moglie».

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La trama di questa storia è un espediente che il suo autore, Lev Tolstòj, usa per esporre la sua idea dell’amore e del matrimonio, e cioè:

«Ogni uomo prova quello che voi chiamate amore per ogni donna avvenente».

Ci credeva talmente a questo assunto, che finì per adattarvisi alla lettera come a una profezia autoverificantesi. In anni di forsennata ricerca della donna giusta, che sola poteva dargli quella felicità coniugale cui anelava, Tolstòj cadeva di amore in amore, in preda a passioni senza senso a cui rispondeva sempre di sì, come nel caso del suo delirio per una contadina da cui ebbe un figlio. Sposò invece la figlia del medico dello zar Sòf’ja Andrèevna Bers, detta Sonja, nel 1862 dopo appena una settimana di fidanzamento. Ebbero 13 figli e un rapporto tormentatissimo, anche a causa del fatto che Tolstòj le faceva leggere i suoi diari, dalla cui lettura lei emergeva sconvolta, e dove più o meno ricorrono le parole che quasi trent’anni dopo Lev metterà in bocca a Vasia Pozdnyšev:

«Affinità spirituale! Consonanza degli ideali!Ma in questo caso non ha senso dormire insieme (mi si perdoni la crudezza). Se no qui si finisce che si va a letto insieme per la consonanza degli ideali».

E al suo compagno di viaggio che replica «No, no, mi consenta, io dico soltanto che i matrimoni esistono e sono sempre esistiti», risponde:

«Esistono. Sì, ma perché esistono? Esistono per persone che nel matrimonio vedono qualcosa di arcano, un sacramento che vincola davanti a Dio. Per quelle persone esistono, ma non per noi. Qui la gente si sposa, senza vedere nel matrimonio altro al di là dell’accoppiamento, e il risultato è sempre inganno, o violenza. Se è un imbroglio, è più facile da sopportare. Il marito e la moglie non fanno altro che ingannare la gente con la loro parvenza di monogamia».

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Visione cinica della vita, dice qualcuno. Ma per favore. È cinico vederla così, cioè come è in realtà, e denunciarlo, o è più cinico fare finta che non sia così?

E questo è il passaggio in cui Vasia-Lev confessa:

«Ecco come ho vissuto fino ai trent’anni, senza che venisse meno per un istante la ferma intenzione di sposarmi e costruirmi la più nobile e pura vita famigliare; e a tal fine andavo cercando ragazze degne di me per la loro purezza. Mi crogiolavo nella più putrida depravazione, e allo stesso tempo cercavo ragazze che fossero degne di me per purezza. (…); finalmente ho trovato quella che sembrava degna di me.

Una sera, mentre eravamo stati insieme in barca, e tornavamo insieme a casa, alla luce della luna, seduto in carrozza accanto a lei, ammirandone la figura snella fasciata dal jersey e i boccoli, ho deciso all’improvviso che sarebbe stata lei. Quella sera stessa mi era sembrato che lei capisse tutto, tutto quello che io sentivo e pensavo, e che i miei sentimenti e pensieri fossero della natura più alta. In effetti non era altro che il jersey, che si addiceva al suo volto, così come i boccoli. È sorprendente quanto grande, totale possa essere l’illusione che nella bellezza c’è il bene».

Poco prima dei trent’anni, Tolstòj aveva passato alcuni giorni a Ginevra con la cugina di dieci anni più vecchia, di cui si era innamorato e a cui si era dichiarato ricevendo un netto rifiuto. A lei scrive una lettera in cui le parla di un’altra donna, e che forse il mio pretino doveva aver letto, dato che dentro c’è tutto quello che c’è da sapere.

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L. N. TOLSTOJ a A. A. TOLSTAJA

Jàsnaja Poljàna, 18 agosto 1857

Carissima Bàbuška,

A Dresda, in maniera del tutto inattesa, ho incontrato K. Lvova. Io ero in uno stato d’animo adattissimo per innamorarmi. Avevo perduto al gioco, ero scontento di me, ero in ozio (secondo la mia teoria che l’amore consiste nel desiderio di dimenticarsi e perciò, come il sonno, prende l’uomo quando è scontento di sé e infelice). K. Lvova è bella intelligente, onesta, ha un carattere delizioso: io volevo innamorarmi a qualunque costo, la vedevo spesso, ma niente!… Che cosa significa questo, per amor del cielo? Che mostro sono? Si vede che mi manca qualcosa, e cioè – o almeno credo – una piccola dose di fatuità. Mi sembra che la maggior parte delle persone che si innamorano si uniscano in questo modo: si vedono spesso, flirtano, e alla fine si convincono che si sono innamorati l’uno dell’altro; e poi per gratitudine all’amore, immagino, incominciano ad amare per davvero. Ma come potrei io, che osservo sempre attentamente la donna con cui vengo a contatto, e scorgo in lei una certa avversione per la mia persona, come potrei cascare in questo gentile inganno? Del resto lasciamo stare questo discorso. È giunta l’ora di finire di preoccuparsi dei dolciumi».

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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