Istruzioni per assecondare la fame degli oggetti – ospite: Massimo Fusillo
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Istruzioni per assecondare la fame degli oggetti – ospite: Massimo Fusillo

Tra gli oggetti, sono da preferire quelli dalla consistenza friabile, farinosa; oppure quelli duri ma la cui trasparenza sia insicura, venata. Vanno bene anche i gommosi, i materici in maniera impertinente, ma non i molli. Esclusi tutti …Leggi tutto

 

Tra gli oggetti, sono da preferire quelli dalla consistenza friabile, farinosa; oppure quelli duri ma la cui trasparenza sia insicura, venata. Vanno bene anche i gommosi, i materici in maniera impertinente, ma non i molli. Esclusi tutti quelli morbidi in senso passivo; bene i morbidi in senso etimologico. In tutti i casi, la preziosità degli oggetti non è mai data dal loro valore oggettivo, ma dalla loro capacità di innescare il desiderio.

Tra i film sono da privilegiare: quelli con campi lunghi, o quelli in cui il montaggio è esasperato; tutti quelli in cui la mdp si posa con grazia a tratti anche pedantesca, didattica, fastidiosa (Fassbinder), sui dettagli: singoli oggetti di scena (I gioielli di Madame de…), parti di corpi, mani, chignon (Vertigo), code di occhio (Spellbound), ciglia (Psycho). Vanno bene anche quelli che tengono in grande considerazione i rumori fuori campo.

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Tra i libri: tutti quelli che circoscrivono un universo coerente in sé, ma sciolto, svincolato dalle regole che vigono fuori di esso; bene i romanzi ossessivi, allusivi, imbarazzanti. Benissimo i libri che affastellano cose: più oggetti sono stipati dentro il loro universo meglio è; oppure, se deve esserci vuoto, che sia un vuoto di ustionante chiarore, qualcosa di urticante, di insistente e ossessivo (tipo Invito a una decapitazione di Nabokov). Molto bene i libri dai colori cupi, artificiali, i cui personaggi siano illuminati da una luce al neon come pezzi di carne in una macelleria, in cui la pietas non sia mai sentimentale, e non contenga alcun messaggio.

 

Se vi sembro matta, siamo in due. Massimo Fusillo ha scritto un libro che parrebbe confermare tutti questi assunti.

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Massimo poi dimmi se ti piace questa composizione

L’ho contattato, vi risporto il nostro scambio.

Dovevo conoscerti. Parli di oggetti, di film pieni di oggetti, dei libri in cui gli oggetti hanno una vita perturbante; di collezioni, di accumuli, di ossessioni. Cerchi di catturare la bellezza assecondando sia la fame del lettore, sia quella degli oggetti stessi di imporsi come motivi di desiderio. Secondo me tu non sei neutrale col tuo oggetto di studio. Si vede che sei compromesso con gli oggetti che descrivi.

Il tema degli oggetti mi ha affascinato fin da quando, da ragazzino, avevo strane passioni per i romanzi di Robbe-Grillet fatti tutti di descrizioni, o per le installazioni di arte contemporanea; nella mia tesi di laurea parlavo a lungo degli oggetti nel poema ellenistico di Apollonio Rodio; quando qualche anno fa ho deciso di dedicarci un libro, ho capito subito che avrei dovuto restringere il tema, e l’ho quindi intrecciato con una dimensione molto presente nella mia vita personale,

Tu non cerchi di accattivarti le simpatie degli affini, e nemmeno l’indulgenza degli scettici nei confronti della tua partecipazione passionale. Non avevi paura di essere giudicato male da quella parte della comunità di studiosi che si pensa seria e militante, e malissimo dai lettori che si aspettano un trattato organico e non una raccolta feticistica di dettagli?

Il feticismo è molto importante per tanti mostri sacri, Marx, Freud, Benjamin. Nel corso della scrittura mi sono convinto sempre di più che tra feticismo e creatività artistica ci sia un rapporto strettissimo, molto incentrato su un altro concetto chiave che ora mi ossessiona, il dettaglio; e mi sono anche convinto che il motivo per cui spesso il feticismo ha ancora una connotazione negativa, a parte i vari moralismi di turno, è quella “metafisica dell’originale” che impronta da sempre la cultura occidentale, che  tende a svalutare tutto ciò che sia elaborazione secondaria, rifacimento, adattamento; proprio perciò insisto tanto su una visione positiva e catartica del feticismo.

questo va bene

Siamo passati da una concezione magica o religiosa degli oggetti potenti all’elogio della loro materialità bruta, passando per la demonizzazione della merce o la sua sessualizzazione – penso per esempio alla questione carta/schermo. Fammi capire se per te l’oggetto è ancora in grado di veicolare un valore magico, seducente, o se tutto è stato assorbito dal device, dal portento tecnologico, che garantisce una performance “di network”, che la carta non è più in grado di garantire. Se facendo il giro si è tornati alla banale funzione.

Il valore magico e seducente degli oggetti è secondo me ancora vivissimo oggi: la tecnologia ci gioca sopra, e non lo dissipa affatto; trovo iPad e ebook oggetti di grande fascino,  che creano un nuovo, straordinario feticismo in cui la dimensione tattile e visiva si incrocia con la dimensione virtuale. Tutto ciò non implica che scompaia il libro cartaceo e tutto quello che vi sta intorno. Personalmente non sono un grande bibliofilo, se non per casi speciali come i cataloghi di arte o per i programmi di sala degli spettacoli visti, ma ognuno ha i suoi collezionismi più o meno strani

La cosa più evidente del tuo libro è che tu controlli la materia di cui scrivi, ma sei anche apertamente a favore dell’ossessione. Mi hai fatto pensare se il feticismo non possa che essere raccontato con metodo feticistico. 

Non credo che un autore possa essere immune dall’ossessione per i temi di cui parla; certo, è bene mantenere una certa distanza “scientifica”, e controllare un po’ la passione, che resta però sempre la matrice principale di quello che si scrive. Molti amici mi hanno detto che è il mio libro più bello, certo è quello che sta andando meglio, e credo che ci sia dietro di ciò la componente personale.

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Hai un interesse di tipo erotico per gli oggetti di cui parli? Dico meglio: il tuo feticismo sconfina nell’erotico?

Oltre la passione per oggetti come i cd o i dvd (quindi connotati culturalmente), o per alcuni capi di abbigliamento, il mio feticismo è soprattutto sessuale: amo il leather, il rubber, le uniformi, l’abbigliamento skinhead, tutto ciò che alimenta il sadomasochismo, inteso come rapporto consensuale ed empatico, con cui si trasfigurano ludicamente le proprie pulsioni aggressive e (auto)distruttive.

 Ah…

Delusa?

Te lo dico dopo. A un certo punto citi la parte finale della Tentazione di Sant’Antonio di Flaubert, quando dice «Vorrei essere ogni cosa, svilupparmi come le piante, penetrare ogni atomo, scendere fino al fondo della materia, essere la materia!». È ovvio che qui non c’è niente di panico e vitalistico, ma che si respira un desiderio di abbandono all’inorganico. Questo mi piace. È molto più sexy toccare col feticismo il limite dell’erotismo, che non esplicitarlo, per me.

Sì, il feticismo deve essere raccontato in modo feticistico: per dettagli, in modo eterogeneo ed antigerarchico…

L’altro giorno ho parlato del giro della seta di Madame Bovary, che tu citi.

Più leggo Flaubert e più mi convinco che tutta la cultura contemporanea venga da lì; il suo stile straordinario è intimamente feticistico: il brano sulla seta condensa in poche frasi tutta l’attrazione per l’inorganico su cui hanno scritto a lungo tanti teorici, ma ovviamente nessuno così bene…

E poi citi Benjamin, praticamente il Manifesto del sex appeal del feticcio

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Da I «passages» di Parigi

 si vede che non subisci la tua formazione, ma ne hai assorbito lo stile.

La mia formazione è di classicista sin dall’inizio interessato alla teoria della letteratura, e poi da tanti anni ormai spostatosi verso il contemporaneo, spesso per rintracciarvi echi del mito, ma sempre più per indagare il polimorfismo dell’immaginario contemporaneo.

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No, scusa, è che sto cercando di capire come fa uno serio come te a praticare il sadomaso, sempre se la rappresentazione ludica di cui parlavi è seria…

Sì, assolutamente seria: la parola importante è trasfigurazione; attraverso il rito e la performance si trasforma l’aggressività; diciamo che è un po’ come la parodia seria di cui parla Agamben; si sovvertono le gerarchie di potere tramite il gioco, ma si sa che il gioco è una cosa seria.

Beh, dimmi almeno che sei master. Ho idea che gli slave siano degli egoisti ingenerosi che ti fanno portare le valigie pesanti.

☺ ho sempre pensato che se mai scrivessi un romanzo sul sadomaso, lo chiamerei “Un bagaglio troppo pesante”…

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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