Tagliate il cazzo a quel Rodolphe: come debovarizzarsi
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Tagliate il cazzo a quel Rodolphe: come debovarizzarsi

Madame Bovary non è un romanzo d'amore ma una ossessiva storia di ossessioni …Leggi tutto

Madame Bovarynon è un romanzo d’amore. Nessuno ama nessuno, lì dentro, se non con l’ingenua mancanza di scelta naturale, quasi biologica, di Charles, il marito tradito.

Piuttosto, è un libro sulla psicosi ossessiva. In cosa consiste l’ossessione di Emma? Secondo la psicoanalisi freudiana, la sua è una coazione a ripetere, con bulimia affettiva e tendenza al carattere distruttivo. Più precisamente, Emma è affetta da masochismo primario, inteso come processo interno di ogni cellula che tende istintivamente all’autodistruzione. Si innamora ogni volta, sinceramente; e ogni volta da quelle rape non cava una stilla di sangue. Il disamore che ne segue, l’abbandono che subisce, non fanno che confermare, e rinfocolare, la sua tendenza – intendo: anelito – alla rovina.

L’allegoria più esatta di questo tipo di coazione è data da uno dei racconti più inquietanti di Fantasmagonia, una favola-incubo in cui Michele Mari costruisce un’atmosfera carica di allucinazioni e di ombre mentali.

Si chiama Sangue dalle rape. La principessa Melania, resuscitata dalle pagine dell’omonimo dramma teatrale di Maeterlinck, «nevrotica e ambiziosa», vuole seminare rape viventi, cioè rape infuse della vita animale, sanguigna dell’uomo, razionale.

«Non deludermi, o rapa. Tu sei potenza conchiusa e inespressa (…). Ti voglio discontinua al tuo essere rapa, ti voglio audace, sfrenata». Ma al momento del raccolto, «la rapa non si determinò».

«Stupida rapa!» inveì la principessa, che provò con un’altra rapa, e poi con un’altra e un’altra ancora. Comincia a sognare rape, questi «ortaggi delusivi» che non ricambiano la sua cura. Passa un corvo e le chiede cosa fa. Lei in tutta risposta lo uccide e col suo sangue concima la terra della sua desolazione.

«Per cavar sangue dalle rape», pensò, «alle rape dar sangue: ed esse te lo restituiranno riconoscenti, lo riconosceranno e lo imiteranno». Fa sogni orribili, in cui le rape crescono nere, come il sangue del corvo. Decide allora di aspergere le zolle con acqua benedetta, ma venuto il tempo del raccolto si accorge che le rape hanno assunto forma di organi umani, nauseanti, orribili, sconci. Ma «poteva chiamarsi vita, quella?». Si abbrutì: non si lavò più, non si pettinò e vagò inselvatichita dalla sua fissazione.

«Tornò ad essere una povera cosa tremante e un mondo violato, riseppe l’antica stortura». E l’antica stortura ha un nome: l’amore della sua infanzia, la delusione infinita e sempre ricercata di una vita di solitudini: il masochismo primario.

Claro, scrittore francese farsesco e alacre che dichiara di aver letto Madame Bovary decine di volte, ha scritto tra gli altri un bel libro, in cui moltiplica alla sua l'ossessione bovarista. Tenendo sullo sfondo la coazione di Emma, descrive la sua fissazione per lei e per i modi in cui essa si traveste nell’ossessione per la donna che l’ha lasciato. Approfondendo la frase di Flaubert «Madame Bovary c’est moi!», sottoponendola a una torsione linguistica, rafforza e lenisce il proprio girare a vuoto. Strapazzando la propria passione, cuocendola come su uno spiedo al fuoco delle passioni di Emma, ricorre a rituali che lo avvitano attorno al corpo e all’insoddisfazione di Emma, ricreandosi come Madman Bovary, il pazzo. 

Ma come debovarizzarsi, come smettere di voler cavare il sangue dalle rape?

Claro applica il metodo della convulsione, cioè attacca mille ulteriori ossessioni a una ossessione, come se per non sentire il dolore di un dito rotto ci facessimo spezzare tutte le ossa. Dichiara di sentirsi come se lui e Emma fossero «gemelli uccisi con la stessa pallottola».

Più Emma soffre, e più in lei affiora il dolore universale. Assolvendo solo Charles, che altro non è se non una versione monoseriale di Emma (fissato a cavare sangue dalla arroventata freddezza di lei), Claro anamorfizza il testo di Flaubert, ingigantendolo a misura della propria pena.

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Ma poi forse trova una soluzione, a tre passi.

1. lenisce il dolore di Emma per l’abbandono da parte di Rodolphe:

«Rodolphe? Chi è Rodolphe? Da dove spunta? Non lo conosco. Lo acciuffo e lo riaccompagno all’uscita, un calcio nel culo e tanti saluti. Epurazione, mi dico».

2. dichiara:

«una forza centrifuga, che ci piacerebbe definire abitudinaria ma che è costituita principalmente da particelle di viltà, ci mantiene stupidamente allacciati alle cosiddette circonvoluzioni che non fanno altro che allontanarci da un asse salvifico. Il nostro cervello, rettile per decreto di coloro che ci rimproverano di strisciare, contiene nel nodo della sua notte una specie di chiodo che al minimo movimento, alla minima decisione affonda sempre di più nel legno dell’istante vissuto, per quanto ci sia dato di lanciarci, sperare, orbitare, rimaniamo fermi o perdiamo brandelli di noi stessi».

3. propone:

«Ma piuttosto tagliate il cazzo a quel Rodolphe di cui ho sentito parlare poco dalle sue parti e a ragion veduta: molle, molle, molle come la parola cosparsa di merda di pipistrello! La vita! la vita! un’erezione, tutto qua!».

Insomma la soluzione per debovarizzarsi è: nutrire il nostro sangue alla sorgente dell’arsenico come ha fatto lei, o andarsi a vedere l’etimologia di arsenico, riconoscendo in ogni Rodolphe una rapa. 

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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