Il freddo e il crudele: si fa presto a dire "sadomasochismo"
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Il freddo e il crudele: si fa presto a dire "sadomasochismo"

La prossima volta che entrate in una chat sadomaso, invece di «Sei master o slave», provate a chiedere: «Appartieni al masochismo, e se sì sei la variabile che possiede il il sadismo assente nel sadico che è l’immagine …Leggi tutto

La prossima volta che entrate in una chat sadomaso, invece di «Sei master o slave», provate a chiedere: «Appartieni al masochismo, e se sì sei la variabile che possiede il il sadismo assente nel sadico che è l’immagine riflessa del masochista, oppure al sadismo ma in quanto vittima, nel senso che sei il doppio passionale del carnefice sadico?».

L’idea geniale deIl freddo e il crudele di Gilles Deleuze, che i fantasy-porno sul modello delle 50 sumature hanno squalificato, consiste in ciò: che è una sciocchezza credere che un sadico incontri un masochista e in questo incastro si realizzi la soddisfazione reciproca.

In realtà, dice Deleuze, o si appartiene al sadismo o al masochismo, e ogni persona di una perversione ha bisogno dell’«elemento complementare della stessa perversione», e non di una persona dell’altra perversione, per provare piacere. Non c'è nessun dialogo, tra un sadico e un masochista.

In altre parole, nel setting sadico sia vittima che carnefice condividono i valori del sadismo (la vittima rinuncia al proprio sadismo perché lo eserciti l’altro), mentre in quello masochista sia carnefice che vittima parlano il codice del masochismo (il carnefice “cede” il proprio masochismo alla sua vittima). Se si pensa in questi termini, quasi ogni rapporto, ogni relazione “non parafiliaca”, sembra improvvisamente intelligibile.

Un autentico sadico, dice Deleuze con liscia semplicità, non sopporterà mai una vittima realmente masochista che si delizi della sua crudeltà, perché così finirebbe la sua ragion d’essere, che è di infliggere pena (una delle vittime dei monaci in Justine dice: «Essi vogliono essere certi che i propri crimini procurino pianti, e allontanerebbero colei che si concedesse solo spontaneamente»).

Perciò, o si appartiene al sadismo, dentro cui c'è una vittima sadizzante e un carnefice sadizzato, o al masochismo, dentro cui si è carnefici masochizzanti o vittime masochizzate. Per dirlo meglio, o si è sadiani o masochiani. Il resto sono chiacchiere.

È interessante capire come questa appartenenza all’uno o all’altro universo si traduca nel gesto tragico ed esatto dello scrivere: se è vero che la letteratura è sempre diserzione, libertà e abbandono asociale, in essa la passione si scioglie e si coagula incessantemente.

Come, cosa scrive un autore che appartiene al mondo sadico, e come e cosa scrive uno che vive nei valori del masochismo? Ovvero: esistono una scrittura sadiana e una scrittura masochiana? Una scrittura che cede, ribellandosi, alla protervia di chi la usa, e una che si lasci piegare, quasi “malgrado” l’autore, che cede al lettore tutta la propria voluttà di sconfitta? E com'è l'Autore che quando affronta gli spasimi d’amore tradisce la sua vocazione?

Gli esempi più fulgidi sui quali ci si può esercitare sono gli universi di Giorgio Manganelli e Tommaso Landolfi, che intuiscono la scoperta deleuziana e la traducono nell’abbacinante bellezza della loro prosa: stando a questi due brani, a quale universo vi sembra appartenga ciascuno?

da Rien va, di Tommaso Landolfi
Eh, come fare a non immaginare, a non vedere attraverso la loro voce [delle donne, ndr] i loro vezzi nascosti? Con particolare riguardo a quello che le donne chiamano gentilmente il loro «puntolino». Se, ora, si consideri che una larga parte dell’amore è inflizione, col fatto parallelo e forse consequenziale che le donne sentono e portano, in fase di pudore, i loro attributi sessuali come menomazioni, e combinano le due, è facile vedere dove sia la maggiore provocazione. (Facile un corno: sto tirando via perché non ho voglia di seguitare, mentre qui, solo per non perderci il capo, ci vorrebbe una pagina con tutte le regole). Insomma, voglio forse dire, quanto più schiva in apparenza la donna, tanto più irritante, e d’altra parte quanto più capace di resistenza, tanto più segnalata l’eventuale vittoria: che non è davvero peregrino (ma è manifesto che mi sono imbrogliato). E per finire, quanta voluttà si troverebbe a sottomettere queste donne; e come sarebbe dolce essere amati da loro, quando esse medesime si fossero piegate ma come a dispetto di sé, fossero ribelli ma schiave.

Da Hilarotragoedia, di Giorgio Manganelli
Mi capitò inoltre di aggravare queste confusioni oggettive con altre che direi soggettive: mi innamorai di un drago… Innamorarsi di un drago, un drago, notate, che era mio compito uccidere! Un drago di faccia empia ed oscena, di occhio feroce e idiota, e adorno solo del gran prestigio delle ali meravigliose, sgargianti, arcobalenanti, morbide e metalliche… Per quelle ali si può spasimare. (…). lo amai prima come fanciulla legata allo scoglio in attesa di essere divorata. Lo amai non appena lo vidi emergere dalle acque, amai l’orrido, il mirabile, il tremendo, l’ottuso, e indugiai in stremata delizia, in attesa di cedere ai suoi denti…

 

 

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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