«I nostri sogni sono collegati tra loro». Il petto di Kafka e i bordelli di Adorno
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«I nostri sogni sono collegati tra loro». Il petto di Kafka e i bordelli di Adorno

Arriva sempre il momento, al termine di una cena o durante una passeggiata serale, in cui qualcuno comincia a raccontare i suoi sogni. Di solito si parte dal sogno della notte precedente, per arrivare alla casistica dei …Leggi tutto

 

Arriva sempre il momento, al termine di una cena o durante una passeggiata serale, in cui qualcuno comincia a raccontare i suoi sogni. Di solito si parte dal sogno della notte precedente, per arrivare alla casistica dei sogni ricorrenti con, il più delle volte, l’elezione del sogno ricorrente, il più spaventoso e tenace. Il mio scopo, per tutta la durata del racconto di un sogno altrui, è trovare il modo di raccontare i miei dando al contempo l’impressione di essere reticente a farlo. Al termine del mio, tutti, per contagio, si sentono chiamati a raccontare i loro, nella foga di dover dimostrare che hanno anche loro una speciale attività onirica; il massimo risultato lo si ottiene quando il sogno è davvero bizzarro e sconcertante, ma plausibile, e restituisce di chi lo racconta un’immagine non pacificata. Sapendo questo, e per prevenire questa competizione, io cerco di sognare cose sempre più incredibili e spaventose.

Ho visto irredimibili bonaccioni venire recuperati al consesso umano dal racconto di un loro sogno singolare o scabrosetto – se c’ero io presente. Altri, spigliati sognatori della loro vita ordinaria trasformata in simboli facilissimi, cadere nell’ombra del loro sciocco entusiasmo.

Ma è un mio debole: se non mi importa niente di te, presumibilmente mi importa qualcosa di ciò che sogni. Sia inteso che di analisi ne capisco quando un risponditore della posta del cuore di Donna postmoderna. Questo ovviamente non mi impedisce di dire, e con una certa sicumera, che sicuramente  se hai sognato il mare hai qualche problema con la parte sommersa di te, e se hai sognato un bambino in realtà sei tu stesso, che ti vedi così, e che hai bisogno che qualcuno ti protegga. Mi capita anche di dire a chi sogna di guidare una macchina che «sente di stare a perdere il controllo della sua vita». Sono fatta così. La gente mi chiama per raccontarmi i suoi sogni e io fingo di sapere cosa significano, e loro di crederci. Ma la verità è che non mi interessa neanche collegare il contenuto dei sogni alla personalità di chi ho davanti, non più di quanto vi collegherei la scelta del secondo sul menù. È che mi piace proprio. Dopo attento riflettere, ho capito cosa mi piace dei sogni: il fatto che mi fanno paura.

Più mi fanno paura, più mi piacciono. Ovviamente questo vale di più nel caso dei sogni degli altri, ma un po’, tutto sommato, anche dei miei. Ricordo alcuni incubi con un’angoscia più grande di alcuni dei miei momenti di veglia peggiori, eppure, sia nel ricordarli che nel raccontarli (come detto li racconto appena posso e con somma voluttà), sento un piacere indescrivibile, quasi insano, come spesso sono i piaceri. L’altra cosa che mi piace dei sogni è che mi fanno ridere. Spesso la stessa situazione mi fa paura e ridere insieme.

Per questo i sogni di Pane e tulipani, il cui codice è fatto di situazioni comiche e perturbanti insieme, mi piacciono di più del sogno ipnotico di Spellbound.

L’unica cosa che non mi piace sentire sui sogni è quando qualcuno sogna me. La gente ti dice che ti ha sognato come se tu avessi qualche responsabilità in questo. Si aspettano che tu dica (e spesso lo dici) «Ah, e che facevo?». Poi fanno quella faccia come di chi sta per rivelarti che sa tutto di te, che ti ha sgamato e ha le prove che sei un essere la cui natura spregevole ha scelto proprio il suo sogno per manifestarsi. Alcuni credono fermamente, in una parte del loro cuore, che sia possibile viaggiare dentro le teste degli altri per mezzo dei sogni, e andare a bruciargli casa.

(Un tempo mi ero messa in mente di scrivere un libro composto da ciò che la gente sognava di me: volevo intitolarlo Ma guarda che nel tuo sogno “io” sono tuquindi non attribuirmi una natura basata sui gesti che mi fai compiere).

Ho avuto prove che non è detto che una grande persona faccia grandi sogni, pieni di trama e di perturbanti coincidenze e citazioni (conoscevo un frate coltissimo e ironico che sognava tutte le notti l’orto di quando era bambino: zucchine, pomodori; mentre io per dire sono specializzata in plot in cui si mischiano i film di Dirk Bogarde con immagini bibliche); però credo anche che un bel sogno, proprio perché non sono io che viaggio nelle teste degli altri e non è il diavolo che ce li manda, possa solo crescere dentro una mente che si è costruita e riempita con le immagini più strepitose e le parole più formidabili della storia umana, oppure, secondo una magnitudo stellare, che quelle immagini le ha create. Per quanto possiamo essere strutturati, raramente sogneremo Gesù o Alessandro Magno; più probabilmente sogneremo il cognato di nostra cugina che ci propina una torta di semolino.

Facciamo un gioco: chi secondo voi tra Adorno e Kafka sognava spesso che doveva essere giustiziato? Che provava a giustificarsi per qualche mancanza di cui qualcuno lo accusava ma debolmente e senza successo? Che veniva colto in flagrante in un bordello da una squadra composta da funzionari del partito? Che era a bordo di una nave assalita dai pirati?

Sbagliato. Era Adorno.

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Poche cose mi hanno fatto ridere come questo sogno di Adorno (si veda dalle sottolineature tremolanti)

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Per Kafka i sogni sono uno dei linguaggi in cui si esprimeva la malattia. Se si tiene conto della vita di K, i suoi sogni più spaventosi non possono essere considerati incubi, ma una specie di veglia potenziata, una moltiplicazione dell’angoscia diurna in alta definizione. I suoi sogni sono «furiosamente limpidi», «paurosamente inverosimili».

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Il 21 luglio del 1913, mentre Freud pubblicava Totem e tabù, scrive

Non posso dormire. Soltanto sogni, niente sonno.

Perché non respira bene durante la notte, sogna cani e donne di cera seduti sopra il suo petto. Non si rilassa mai; la casa nel sogno non offre mai un riparo e non è teatro di scene familiari alterate o buffe, ma è sempre un altro luogo, una terra in cui si sente estraneo e non accetto. Neanche la metafora erotica funziona come per tutti noi. Con K l’analisi freudiana sembra mostrare crepe irriducibili, sembra una sua precisazione, una specie di confutazione delle sue conclusioni nella conferma del principio generale. K, semplicemente sognando, dice a Freud «guarda cosa sogna chi è angosciato».

L'incubo, Johann Heinrich Füssli, 1781

Insonne quasi del tutto; tormentato dai sogni, come se fossero graffiati dentro di me, in un materiale renitente. (Diario, 3 febbraio 1922)

I suoi sogni sono la mentalizzazione di una condizione somatica. K sogna sempre K. Anche quando sogna GoetheNapoleone, sogna tutto ciò che lui riteneva essergli negato.

(Se volete piangere davvero leggete il sogno di pag. 126).

sogni di Adorno, raccolti al mattino, dal 1934 al ’69, e copiati a macchina da sua moglie Gretel, sembrano invece una traduzione in linguaggio teatrale del suo pensiero e della sua cultura. Presentati senza note di carattere psicoanalitico (e Adorno avrebbe ben potuto farlo), sono la performance del suo sapere, della sua rete di relazioni (sogna spesso ricevimenti di emigrati), dei posti che ha visto (soprattutto alberghi loschi, Istituti di cultura trasformati in bordelli, sospette aule universitarie), della sua inadeguatezza rispetto alla vita attiva (le donne sono quasi sempre prostitute o forme più o meno mostruose di sua madre).

Sogna Karl Kraus, Kracauer, Ravel, Anatole France, i nazisti, la famiglia Guermantes (!). Per lui i sogni, come dice Michele Ranchetti nella postfazione, devono essere trascritti, non interpretati. Sono sogni prima di Freud, in un certo senso non cronologico. I suoi sogni sono una costellazione.

Cè un episodio esilarante che riguarda Walter Benjamin: un giorno, nella stanza di Kracauer nella redazione della Frankfurter Zeitung, stava raccontando ad alcune persone, tra cui Adorno, un sogno che aveva fatto, in cui compariva proprio Kraus; Adorno, prima ancora che Benjamin finisse di parlare, completava le frasi per lui, e aggiungeva particolari che riguardavano il sogno e che solo Benjamin avrebbe dovuto conoscere. Al momento di andare a pranzo Benjamin volle andare senza Adorno e con una scusa lo congedò. Confiderà a Soma Morgestern, che riporta l’intero episodio, di essersi sentito profondamente a disagio e che Adorno lo seguiva fin dentro i suoi sogni.

Come potrebbe un uomo vigile e cerebrale come Adorno sognare solo i suoi sogni? Diciamo che sogna la metamorfosi mitica della sua vita interiore in una forma moltiplicata.

«I nostri sogni sono collegati tra loro non come “nostri”, ma formano anche un continuum, fanno parte di un mondo unitario, così come tutti i racconti di Kafka ruotano attorno allo stesso motivo», scrisse.

È questo che lo avvicina a Kafka, ma al Kafka sveglio, non a quello dormiente. Anzi, ancor meglio, al Kafka la cui veglia potenziata lo trasforma nell’insetto Gregor Samsa (dove la S è la K e la M la F). La pelle che si trasforma in in corazza proteica, la schiena che si incurva rovesciandolo sul dorso, la perdita della parola: sono segni corporei di una metamorfosi che avviene, infatti, «dopo sogni tormentosi».

Chissà, forse per noi non vale, ma di uomini come questi è possibile immaginare che scrivessero e sognassero l’uno i sogni dell’altro.

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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