«Faceva monologhi insulsi e interminabili su diete, templi greci e cani pastore». A pranzo con Hitler
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«Faceva monologhi insulsi e interminabili su diete, templi greci e cani pastore». A pranzo con Hitler

Quale individuo banale, ordinario e non dotato su tutta la linea fosse Hitler è appurabile per mezzo di una conoscenza appena un po’ più approfondita della sua biografia, ma da nessuna parte ho trovato tante prove, e tanto chiare, come …Leggi tutto

Quale individuo banale, ordinario e non dotato su tutta la linea fosse Hitler è appurabile per mezzo di una conoscenza appena un po’ più approfondita della sua biografia, ma da nessuna parte si trovano tante prove, e tanto chiare, come nelle Memorie del Terzo Reich di Albert Speer, l’architetto prediletto, il laureato delle forme del nazismo, cioè del suo inventore.

Alcuni studi hanno accertato che la parola “Hitler” provoca in alcune persone un’attivazione delle stesse aree neuronali che si accendono alla lettura della parola “sesso”: con tutte le cautele del caso nei confronti di studi di questo tipo, certo se ne possono inferire per intuizione alcune interessanti considerazioni sull’umanità. Tuttavia, non è al nostro sistema neurovegetativo che parlano queste quasi 700 pagine, ma a uno strato molto poco sollecitato, solitamente, del nostro intelletto, costringendoci a fare i conti con la realtà della storia, con la minima, squallida concretezza dell’essere stato Hitler, con tutto il suo Walhalla umano e tecnico, un essere umano insignificante eppure nefando per l'umanità tutta.

Speer non nasconde, anzi esplicita in più punti, quel misto di orgoglio professionale e gioia virilmente erotica dell’essere stato notato e accettato dal Capo come, al contempo, intelletto superiore e persona «di casa», in grado, solo ventottenne, di entrare nella sua residenza privata senza avvisare, di sedergli accanto per sua volontà a tavola, durante colazioni di anche 30 o 40 persone, e di veder luccicare negli occhi del venturus imperator lo spirito di un avvenire che nel ’33 si stava già delineando come il più cupo e megalomane di tutta la Storia.

Così descrive il primo incontro faccia a faccia col Führer, avvenuto in occasione della commessa per le scenografie dello Zeppelinfeld di Norimberga («un’enorme aquila, con un’apertura d’ali di oltre trenta metri, spillata come una farfalla da collezione su un’intelaiatura verticale»):

«Ci fermammo davanti a una casa d’affitto a diversi piani nei pressi del Prinzregent Theater. Saliti al secondo piano, fui introdotto in un’anticamera piena di souvenir e regali di nessun pregio e di pessimo gusto. La stessa mancanza di gusto caratterizzava il mobilio. Un aiutante mi venne incontro, aprì una porta, disse semplicemente “prego” e io mi trovai al cospetto di Hitler, il potente cancelliere del Reich. Davanti a lui, sul tavolo, c’era una pistola smontata; evidentemente stava pulendola. “Posi qua sopra i suoi disegni” disse seccamente. Scostò un tantino i pezzi della pistola, senza alzar gli occhi su di me, e stette a osservare con interesse, ma senza dir parola, il mio progetto. “D’accordo”. Niente di più. E poiché era tornato subito a occuparsi della pistola, lasciai la stanza con un senso di lieve smarrimento».

Goebbels, a cui il progetto di Speer non era piaciuto, appresa la notizia se ne prese subito il merito. Due mesi dopo, nell’autunno del ’33, Speer viene chiamato per procedere ai lavori di ristrutturazione della Cancelleria del Reich. In inverno, già siede nei pranzi privati accanto a Göring, a cui Hitler lo presta per la sua casa privata. Nel ’35 gli viene affidato il Berghof, il nido dell’Aquila, la casa sulle montagne in cui visse reclusa per anni Eva Braun, amante di Hitler. Speer si sente come un Faust che ha trovato il suo Mefistofele.

In un capitolo intitolato Ventiquattr’ore alla Cancelleria – una delle letture più stranianti che si possano fare – Speer descrive quei pranzi, che si ripeterono uguali per quasi 10 anni, le manie e le banalità dell’uomo che ne aveva fissato la cerimonia in una routine mortifera.

«Non si era mai certi dell’ora in cui Hitler avrebbe fatto  la sua apparizione: egli era sovranamente insensibile all’orario». Se la colazione era fissata per le due, a volte passavano una o due ore prima che scendesse dalle sue stanze. Appena arrivato, stringeva la mano agli ospiti – non era in uso salutare con l’«Heil Hitler» – poi si metteva a leggere il notiziario stampa, commentando qua e là i fatti del giorno con qualche considerazione da uomo qualunque. Gli ospiti cercavano di ingannare l’attesa come potevano, fino a che all’improvviso Hitler si alzava e precedendo tutti dava ordine di servire il pasto, per il quale molti gerarchi, specie il grasso Göring, ebbero a lamentarsi per anni: «una minestra, niente antipasto, carne con un po’ di verdura e patate, un dolce», che poi si ridusse a un piatto unico con l’instaurazione della politica del «più cannoni meno burro».

Da bere, c’era scelta fra acqua minerale, birra berlinese ordinaria, in bottiglia, e vino di poco prezzo. Hitler «si faceva servire il solito pasto vegetariano, beveva la sua acqua minerale Fachinger, e chi voleva poteva imitarlo, ma pochi lo facevano». Chiamava la sala da pranzo «il ristorante dell’Allegro Cancelliere», cosa che lo faceva ridere molto.

Quando si accorse che Hess si faceva servire un pasto a parte, e quello si difese adducendo la motivazione di una prescrizione medica, Hitler lo apostrofò davanti a tutti: «Ho qui con me una dietista di prim’ordine. Se il suo medico le ha prescritto qualcosa di particolare, la mia dietista glielo preparerà volentieri. Ma il suo mangiare non può mica portarselo dietro!». Hess insistette, dicendo di poter mangiare solo cibi con una particolare origine bio-dinamica. Hitler «senza tanti complimenti» disse che allora poteva mangiarsi il suo cibo a casa sua – cosa che infatti Hess da quel momento prese l’abitudine di fare.

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Durante il pasto Hitler faceva monologhi «insulsi e interminabili sulla chiesa cattolica, su diete, templi greci e cani pastore»: il repertorio era sempre quello, tanto che Speer dice «nemmeno allora, che ero sotto il fascino della sua personalità, credo di aver trovato interessanti le cose che diceva».

I pranzi non finivano mai prima delle 4.30, e quelli che avevano da lavorare restavano in un’attesa logorante fino al congedo ufficiale che non veniva mai annunciato chiaramente e spesso avveniva dopo le 6 di sera. Nemmeno due ore dopo, 8 di loro venivano richiamati per la cena. Spesso, anzi, Hitler chiamava qualcuno ad attenderlo fino a che fosse tornato, visto che spesso i dolori gastrointestinali e il meteorismo di cui soffriva lo costringevano ad appartarsi per mezz’ora. Dal ’35 cominciò ad avvalersi per questi disturbi delle cure del dottor Morell, che gli prescrisse – e gli iniettò per anni – il Multiflor, dei batteri intestinali coltivali «sull’ottimo terreno di un contadino bulgaro», fino a passare, con sommo raccapriccio di Göring che lo definì spregiativamente Herr Reichsspritzen-meister, Prima siringa del Reich, agli estratti di intestini e testicoli animali. Nel ’38, dimostratesi inefficaci le cure di Morell, Hitler ricominciò a lamentarsi e a dire di essere a un passo dalla morte.

Di fronte ad ospiti di cui riconosceva la superiorità mostrava una visibile timidezza. In presenza delle signore, per lo più donne del cinema spesso in compagnia dei loro mariti, «ragionava delle loro bellezze fisiche più che della loro grazia o della loro intelligenza, un po’ come lo scolaretto persuaso dell’irraggiungibilità dei suoi desideri», e «si comportava più o meno come l’allievo dell’ultimo anno di una scuola di ballo, che partecipa all’esibizione finale». Dal ’35 in poi, stabilì che ai suoi pranzi non dovessero esserci più donne.

Dopo cena imponeva agli ospiti la visione di film interminabili e sciocchi, per lo più film coreografici e di varietà, «in cui abbondavano le gambe nude».

Non gli piacevano i comici: disprezzava in particolare Buster Keaton e Charlie Chaplin che invece gli altri apprezzavano. Siccome la produzione tedesca non bastava a fornire Hitler dei suoi due film quotidiani, spesso gli ospiti erano costretti a vedere lo stesso film per 3 o 4 volte. Alle due di notte si alzava pimpante dalla poltrona e voleva commentare la recitazione degli attori.

Mancava assolutamente di humor, e si sbellicava dalle risate per barzellette sciocche e per quel genere di delazioni degli assenti che da sempre stimolano i cortigiani a un agonismo esacerbato e puerile. Una volta il ministro dell’Industria e del Commercio Funk gli raccontò che Brinkmann, suo vice alla Reichsbanch, si era messo a suonare il violino durante un banchetto e poi aveva distribuito banconote ai passanti davanti al ministero; poi, riuniti i presidenti della Banca, aveva chiesto che quelli con più di cinquant’anni si mettessero alla sua sinistra e i più giovani a destra, e rivoltosi a uno di destra aveva chiesto “quanti anni ha lei?”, “Quarantanove”, aveva detto quello, “E allora passi a sinistra!”. Speer riferisce che in quell’occasione Hitler rise fino a farsi venire le lacrime agli occhi, soffocava, si piegava in due e appena si fu ripreso cominciò a ragionare ad alta voce «su quanto fosse difficile, a volte, riconoscere un ammalato mentale».

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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