A volte le monetine riappaiono: esperimenti di verità per chi ama la tenebra
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A volte le monetine riappaiono: esperimenti di verità per chi ama la tenebra

Per alcuni lettori il piacere più grande della letteratura è dato dalla frequentazione delle zone oscure a cui certi scrittori costringono, e gli spazi dell’eccesso e del turbamento sono i soli in cui si sentono a proprio agio; perciò si …Leggi tutto

Per alcuni lettori il piacere più grande della letteratura è dato dalla frequentazione delle zone oscure a cui certi scrittori costringono, e gli spazi dell’eccesso e del turbamento sono i soli in cui si sentono a proprio agio; perciò si lasciano toccare solo dagli autori che li disturbano e li scandalizzano. In questo spazio Dante e Kafka, Poe e Baudelaire, Lawrence Durrel e Nabokov, Firbank e Dostoevskij sono consanguinei, non perché siano eccelsi creatori, ma principalmente perché disturbano, adescano, infiammano, irritano, perseguitano, mentono e ingannano in continuazione rispetto all’uscita dalle tenebre in cui – nella loro più totale e sovrana indifferenza di autori – a causa loro ci si infila.

La fine della commedia è il Paradiso, e l’alba discopre il cadavere di Gregor Samsa il cui ultimo respiro girò in un cuore che era pieno di «amore commosso per i suoi familiari», ma queste non sono vie d’uscita, come la scrittura che a quella fine ha condotto non è segnaletica stradale: semmai sono complicazioni dell’orrore, l’estrema sofisticheria di una mente che rinforza con impunture di luce tutti gli espedienti con cui ha voluto auto-negarsi, e la scrittura che le ha generate è misura della tenebra, annuso del buio e di tutte le specie di piante velenose che la popolano.

Il disagio al cospetto del lieto fine, come simbolo di redenzione e lenimento di verità scorticanti dopo cui non c’è niente (le fiabe si interrompono proprio nel momento in cui tutti cominciano a vivere felici e contenti), è il sintomo più attendibile che si appartiene a questa razza di lettori inesausti di venire impauriti, gaudenti di ogni scucitura nel tessuto della realtà conciliata.

Ma allora perché un brano come questo, tratto daEsperimento di verità di Paul Auster, desta nella sua clemenza e quasi candida perfezione tanta commozione in un lettore di tenebre?

 

L. e io ci siamo sposati nel 1974. Nostro figlio è nato nel 1977, soltanto un anno dopo il nostro matrimonio era finito. Ma non è di questo che voglio parlare adesso – mi serve soltanto per inquadrare un avvenimento che si verificò nella primavera del 1980.

All’epoca vivevamo entrambi a Brooklyn, a circa tre o quattro isolati di distanza uno dall’altra, e nostro figlio divideva il suo tempo tra i due appartamenti. Una mattina, ero passato a prendere Daniel da casa di L. per accompagnarlo all’asilo. Non ricordo se sono entrato nello stabile o se Daniel era sceso da solo, ma ricordo distintamente che ci eravamo appena incamminati quando L. aprì la finestra del suo appartamento al terzo piano per buttarmi qualche spicciolo. Ho anche dimenticato perché lo fece. Forse voleva che le mettessi i soldi nel parchimetro, forse servivano per una commissione, non so più. Tutto quello che rimane è la finestra aperta e l’immagine della monetina che vola nell’aria. L’immagine mi appare così netta, come se avessi fissato quell’istante in una fotografia, come se facesse parte di un sogno ricorrente che continua a visitarmi da allora.

Ma la monetina colpì il ramo di un albero e l’arco della sua traiettoria verso la mia mano venne interrotto. Rimbalzò contro il ramo, e atterrò silenziosamente lì intorno, chissà dove, era sparita. Ricordo di essermi chinato per cercare sul marciapiede, di aver frugato tra foglie e ramoscelli ai piedi dell’albero, ma la monetina non saltava fuori da nessuna parte.

Posso collocare l’avvenimento all’inizio della primavera perché so che più tardi, quello stesso giorno, assistetti a un incontro di baseball allo Shea Stadium – la partita d’apertura della stagione. Un amico aveva dei biglietti omaggio e mi aveva generosamente invitato ad accompagnarlo. Non mi era mai capitato di assistere alla partita d’apertura, perciò ricordo bene quella circostanza.

Arrivammo in anticipo (dovevamo ritirare i biglietti a un certo botteghino), e mentre il mio amico sbrigava l’operazione io lo aspettavo fuori da uno degli ingressi dello stadio. Intorno non c’era anima viva. Chinai la testa sotto un piccolo riparo per accendermi una sigaretta (soffiava un gran vento quel giorno) e in quel punto, per terra a pochi centimetri dal mio piede, c’era una monetina. Mi sono chinato, l’ho raccolta, e me la sono infilata in tasca.

Lo so, era soltanto una coincidenza, eppure non riesco a togliermi dalla testa che si trattasse proprio della monetina perduta quella stessa mattina a Brooklyn. Ogni volta che mi capita di ripensarci, ho ancora una mezza convinzione di non essermi sbagliato.

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Daniela Ranieri

Daniela Ranieri vive a  Roma, anche se si domanda perché ciò dovrebbe avere importanza in questa sede. Ha fatto reportage e documentari per la tv. Ha fatto anche la content manager, per dire. Vende una Olivetti del '79, quasi  nuova. Crede che prendere la carnitina senza allenarsi faccia bene uguale. Ha pubblicato il pamphlet satirico "Aristodem. Discorso sui nuovi radical chic" e il romanzo "Tutto cospira a tacere di noi" (entrambi Ponte alle Grazie) 

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