Wade Guyton: "Il web ridarà verità all’arte"
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Wade Guyton: "Il web ridarà verità all’arte"

Intervista esclusiva con uno dei talenti più importanti dell’ultimo decennio. Ill 13 aprile a Venezia con una mostra allestita ai Punta della Dogana.

Quale sia oggi il più importante artista al mondo è difficile da dire, anche perché la nozione di qualità in arte non è mai un fatto condiviso. Certo è che nell’ultimo decennio pochissimi artisti, come l’americano Wade Guyton, sono riusciti a mettere d’accordo critici, pubblico, musei, collezionisti e case d’asta. E se qualcuno dopo la retrospettiva al Whitney Museum (fine 2012) ha creduto che la sua vena creativa fosse esaurita, ha dovuto ricredersi.

Quello che era un artista efficace ma algido, ha trovato il modo di rendere i suoi dipinti più emozionali e intimisti. Come? Continuando a usare le stampanti a getto d’inchiostro invece dei pennelli, ma lavorando sull’orizzontalità delle opere, ora lunghissime. Grazie a François Pinault, Guyton dal 13 aprile sarà a Venezia, con una mostra a Punta della Dogana. Panorama l’ha intervistato, in esclusiva per l’Italia, nel suo studio sulla Bowery, a New York, per capire quale sia il segreto del sofisticato sistema Guyton.

Quali lavori proporrà a Punta della Dogana?
Installerò una serie di disegni, che per la prima volta sono stati esposti nel 2011 a Vienna, al Palazzo della Secessione. A Venezia verranno ripresentati in un contesto differente, il cubo centrale del museo: saranno esposti all’interno di 15 sculture che sono delle ideali vetrine rosse.

Dunque nessuna opera alle pareti?
No. Molti grandi artisti prima di me hanno usato questi muri. Ho pensato che sarebbe stato meglio provare a usare lo spazio in senso orizzontale, invece che verticale. Dopotutto questo è un ambiente sul quale si può avere uno sguardo anche dall’alto.

Da dove provengono i disegni?
Sono pagine di libro, sulle quali sono intervenuto usando una stampante molto piccola. Volevo che sembrassero schermi di computer.

Che cosa pensa di François Pinault?
L’ho incontrato solo un paio di volte, quindi non posso dire di conoscerlo bene. Mi è parso una persona calma, molto riflessiva, rispettosa, anche come collezionista.

Dopo dieci anni di carriera ai massimi livelli, che cosa è cambiato intorno a lei?
Ora avverto maggiormente la pressione. Ma dal punto di vista personale, con i miei galleristi si è creato un rapporto più stretto.

E come sono cambiate le sue opere?
Sono diventate più astratte in termini fisici, e più direttamente riferite alla mia esperienza personale, che poi è quella di capire, come artista, che cosa farò della mia giornata.

Che cosa intende dire quando parla di astrazione in termini fisici?
Nelle recenti mostre di Zurigo e di New York ho usato file creati nel 2007 e nel 2008. Allora pensavo alla tradizione dei dipinti neri, dei monocromi, dell’arte astratta. Oggi invece la mia attenzione è più rivolta all’esperienza umana.

Come dire che le tele più diventano grandi, più diventano intime?
Sì, questo dà più spazio alle emozioni, e all’ironia.

È stato più difficile affermarsi all’inizio della carriera oppure è più arduo restare sulla cresta dell’onda?
Probabilmente è più difficile ora. Fai gli stessi errori, ma adesso i loro effetti sono molto più evidenti.

Le interessa l’arte antica?
Devo essere onesto, la conosco poco. Ci sono molte cose che noi americani non conosciamo...

Dopo la retrospettiva al Whitney Museum nel 2012 molti hanno pensato che avesse detto tutto quel che poteva dire, ovvero che il suo percorso nell’astrattismo fosse esaurito. Invece poi sono arrivati i progetti presentati alle mostre di Zurigo, New York, Parigi e ora Venezia.
Volevo che la retrospettiva del Whitney non avesse in sé il senso dell’opera finale. Al contrario, doveva mostrare aspetti che potevano essere visti solo in quel modo. Molte porte sono state lasciate aperte, e molte aree ancora da esplorare. C’era ancora tanto da dire, anche se sullo stesso argomento.

Il mercato dell’arte sta impazzendo per i giovani artisti, che sono diventati irragionevolmente costosi e difficili da comprare, anche per i collezionisti più esperti. Che cosa sta succedendo?
Non ne ho idea, ma non credo sia un fenomeno che riguarda gli artisti. È piuttosto un sistema parallelo. Per qualcuno le opere d’arte sono diventate degli asset finanziari.

Un ritorno della critica può essere l’antidoto a questo veleno?
Una volta il luogo del dibattito artistico erano le riviste, ora è la rete, dove per altro non ci sono luoghi specifici. La comunità online è fluida, ma è importante che anche le persone prima escluse dalla possibilità di dire la propria opinione ora possano farlo. Questo fenomeno ha reso più visibili molti aspetti opachi del mondo dell’arte.

Lei colleziona?
Sì, certo.

Può dirci i nomi di alcuni artisti di cui ha comprato le opere?
David Wojnarowicz, Rosemarie Trockel, Martin Kippenberger, Cady Noland, Christopher Williams, Stephen Prima, Robert Whitman.
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Stefano Pirovano