Non chiamateli (più) salotti culturali bensì piattaforme culturali
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Non chiamateli (più) salotti culturali bensì piattaforme culturali

Sempre più europee le nuove piattaforme creative per lanciare giovani talenti

Tanto per cominciare bisognerebbe risolvere una questione linguistica, degna delle raffinatezze lessicali di Noam Chomsky. La necessità è quella di definire verbalmente i fuochi creativi alimentati da nomi noti e giovani promesse del mondo dell’arte, della letteratura, danza, musica, teatro. Di certo termini come cenacolo, circolo, factory, salotto, bottega rinascimentale conservano una forte suggestione, lontana però dalla significazione delle esperienze creative operanti in Italia e in Europa in questi ultimi anni. Per non parlare del termine lobby, troppo legato a un’accezione negativa, oppure del sostantivo community, che invece rimanda allo slang da social network. Allora, senza incorrere in inutili neologismi che andrebbero ad affollare lo stracolmo dizionario globale, si potrebbe optare per una parola presa dalla grammatica architettonica ed edilizia in genere, quindi vicina all’idea di progetto: piattaforma. Niente salotti culturali, ma diverse piattaforme creative, vere basi formative e di scambio, nonché trampolini di lancio per giovani talenti.

Certo siamo lontani dalle avventure novecentesche del circolo londinese Bloomsbury di Virginia e Leonard Woolf con Ezra Pound e James Joyce. Distanti anche dalle stravaganti esperienze delle case d’arte futuriste, da travolgenti movimenti come la Bauhaus. Agli antipodi anche dalla dissennata e trasversale esperienza newyorkese della Factory, alla quale non si possono paragonare neppure le operazioni di celebrity come Jeff Koons e Damien Hirst, che pure hanno dato vita a vere e proprie aziende, con centinaia di persone coinvolte, su vari piani, nella riproducibilità dell’arte. Ma che non hanno alimentato né un movimento né proseliti.

L’unica esperienza minimamente paragonabile a quella di Andy Warhol porta il nome di Acne, acronimo di Ambizione di creare nuove espressioni. Fondato nel 1996 dallo svedese Johnny Johansson, il gruppo Acne raccoglie diverse menti che riescono a fondere moda, pubblicità, musica e scrittura in un linguaggio potente, leggibile sia attraverso la produzione di "capsule collection" di moda dalla forte identità, sia di colonne sonore che accompagnano performance, sfilate, eventi, sia tramite la rivista Acne Paper, bibbia del pensiero teorico intorno al fashion system.

Va più sul concreto della produzione di opere prime Rei Kawakubo, in arte Comme des garçon, che nel suo londinese Dover street market è riuscita "a creare un mercato dove creativi affermati e giovani talenti abbiano uguale spazio e identità in un’atmosfera di piacevole caos, la cui caratteristica è una forte visione personale del mondo".

Per rimanere nella grammatica fashion, passando all’Italia, la piattaforma di riferimento, strano a credersi, non è Milano bensì Firenze. Nel capoluogo lombardo si espone e si vende, ma è al Polimoda che si formano i manager e i designer visionari. Con l’arrivo di Linda Loppa, fiamminga, già forte del lancio di giovani designer dell’Accademia di Anversa, il centro di formazione fiorentino è diventato un polo creativo di incontro e dialogo tra visionari e opinion leader della moda e della cultura. E non è un caso se nel 2015 si terrà proprio a Firenze, nella sede del Polimoda a Villa Favard, la conferenza Iffti International foundation of fashion technology institutes, per promuovere una rete globale tra gli istituti più avanzati in design, tecnologia e business per la moda.

"Fiorella Favard de l’Anglade, che nel 1875 volle la villa della nostra sede, promosse un salotto culturale che ebbe molto peso sulla città di Firenze. Noi continuiamo tale tradizione con Salon, un progetto che fa dialogare varie discipline. Il primo Salon è stato una conversazione sul tema 'Connecting cities, education and fashion' che ha riunito opinion leader del mondo dell’industria, della cultura e della moda. E ora stiamo lavorando al prossimo" informa Loppa.

Sentono il bisogno di dialogare, si frequentano e scambiano energie gli architetti che ruotano intorno a Giulio Cappellini. Milanese, classe 1954, assistente di Gio Ponti durante gli anni universitari, Cappellini è stato fra i primi a girare il mondo per portarte giovani talenti in Italia, nell’azienda paterna. A lui si devono i debutti di Jasper Morrison e Tom Dixon e intorno a lui ruotano nomi come Matali Crasset. "Non ho nostalgia dei salotti culturali e non concordo con chi sostiene che non ci siano nuove fucine. La tecnologia ha rivoltato il mondo e ora i circoli sono virtuali e globali e la velocità di comunicazione fa accadere tutto ovunque. Questo è un momento di forte pensiero e i progettisti non studiano più solo oggetti, che tra l’altro hanno invaso le nostre case, ma pensano a un landscape globale. Il design deve cambiare la visione degli oggetti. E a me piace lavorare con persone che abbiano una visione sociale e culturale del progetto, che non parlino più di lifestyle e di collezioni a effetto. Gli anni Ottanta sono alle spalle, bisogna guardare avanti".

Portare gli artisti in Italia e far conoscere i giovani talenti italiani oltreoceano è il chiodo fisso di Massimiliano Gioni, curatore d’arte senza convenzioni e promotore di mostre ostentatamente d’avanguardia. Curatore della prossima Biennale, Gioni dal New Museum di New York alla generosa Fondazione Trussardi di Milano muove creatività con un peso specifico e una corte speciale, composta dall’amico e socio Maurizio Cattelan e da un giro variabile di persone, come la gallerista Anna Kunsteva, l’artista Marilyn Minter, la curatrice Ali Subotnick e diversi altri galleristi, Larry Gagosian compreso. Questa, sì, una perspicace e fruttuosa lobby della quale si può avere qualche frammento ironico su Youtube con i video del curatore rapper Hennessy Young.

Ma il vero esempio italiano di piattaforma creativa prepotente e fortemente estetizzante ci viene dalla danza contemporanea, che ha la sua astratta leggerezza rappresentativa a Torino, nella Lavanderia a vapore di Collegno con il giovane coreografo Matteo Levaggi. Che così spiega il progetto: "In Italia la danza è sempre stata legata al teatro e alla narrazione, noi qui lavoriamo sulla poetica della coreografia come un linguaggio a sé. Questa è una casa della danza su modello francese, ma anche un luogo di studio e di scambi tra dj, fotografi, videoregisti e anche programmatori di software, come quelli che stanno preparando programmi per la coreografia aumentata". Da Elisabetta Sgarbi, ideatrice della Milanesiana, appuntamento alto e sofisticato per la letteratura e le creazioni di qualità, alla Societas Raffaello Sanzio di Cesena, ancora oggi punto di riferimento per il teatro contemporaneo, fino a Paola Zukar, manager e talent scout dei talenti del rap italiano, è una polifonia di progetti di universi possibili. Di vite che creano e creando costruiscono nuovi stili di pensiero, forse privi di tensioni ideologiche ma carichi di piccole e vitali rigeneranti utopie.

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Antonella Matarrese