Ma l’Italia dev’essere un eterno presepe?
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Ma l’Italia dev’essere un eterno presepe?

Dalla loggia di Isozaki a Firenze alla maxitorre di Pierre Cardin a Porto Marghera: il nostro paesaggio urbano rimane off-limits per l’architettura moderna.

Un Paese intoccabile? Non solo città d’arte, non solo centri storici, ma anche skyline e panorami: ovunque l’idea di costruire ex novo viene uccisa sul nascere a colpi d’invettiva. Forse per reazione al grande consumo di suolo per l’edilizia che avviene intorno alle città (70 ettari al giorno), vie, piazze e parchi paiono sotto una teca di vetro cerebrale. È bloccata da anni a Firenze la costruzione della loggia dell’archistar giapponese Arata Isozaki, assegnata per concorso internazionale, per quella che doveva essere l’uscita posteriore degli Uffizi. Il progetto è stato oggetto di discussioni interminabili, come quelle, nei primi anni 2000, a Roma, per la sistemazione dell’Ara pacis, firmata da Richard Meier e, alla fine, realizzata.

Il caso fiorentino indigna ancora Aldo Norsa, ordinario di tecnologia dell’architettura all’Istituto universitario di architettura di Venezia: «Cinque secoli fa questo pensiero avrebbe impedito al Vasari di costruire quegli “uffici”, invenzione straordinaria come asse, dimensioni, rapporto col fiume». Norsa difende anche i grattacieli, bersaglio ricorrente del «partito del no», ricordando che ogni epoca ha conosciuto i suoi rifiuti. E fa l’esempio della Ca’ Brutta di Giovanni Muzio, la cui facciata s’incurva su via della Moscova, a Milano, dagli anni Venti.

Lo stesso accadde, 40 anni dopo, per la Torre Velasca, oggi un simbolo milanese, evocata da Stefano Boeri, architetto di fama, che spiega: «Quando l’architettura pone una discontinuità, viene inizialmente rigettata, sebbene possa creare legami col passato. Lo capiscono tutti parlando di musica, arte, letteratura, mentre per gli edifici prevale una dimensione nostalgica e un effetto nimby». Il suo Bosco verticale, grattacielo in via di completamento a Porta Nuova, non è sfuggito alla reprimenda di Vittorio Gregotti, uno dei numi dell’architettura nazionale, che ha definito «ossessione di verticalità» il popolarsi di guglie del cielo meneghino.

«Sarebbe stupido pensare di ingessare il paesaggio urbano o periurbano» commenta Salvatore Settis, archeologo e già rettore della Normale di Pisa, che pure in passato è stato primo firmatario di appelli anticemento. Anche se, aggiunge, «i grattacieli sarebbe meglio costruirli nelle periferie, che governi di ogni segno hanno reso orribili con pessime architetture». E per dimostrare di non essere un purista indica nel Mart, il Museo d’arte moderna firmato da Mario Botta a Rovereto, un esempio riuscito «d’inserzione del moderno in un contesto del ’700». Cosa che non riesce a Padova, dove Settis è tra i contestatori del progetto del nuovo auditorium di Klaus Kada, ma per «principio di precauzione, fintanto che non ci sarà un’indagine seria che escluda danni alla Cappella degli Scrovegni, poco distante».

Nessuna cittadinanza invece per il progetto con cui lo stilista Pierre Cardin voleva erigere, fra le aree ex industriali di Porto Marghera, una grande torre in cemento-vetro di 254 metri, che avrebbe secondo i critici inquinato la vista «di e da» Venezia, e contro la quale Settis e altri si sono appellati a Giorgio Napolitano, mettendo in fuga il grande sarto. Dunque la città dei dogi, dove il ponte di Santiago Calatrava o l’ampliamento dell’Hotel Santa Chiara, entrambi sul Canal Grande, hanno provocato risse verbali, è sempre intoccabile? «Dipende» risponde Settis «non mi scandalizza che i Benetton vogliano fare del Fondaco dei Tedeschi, nato per uso commerciale, un grande magazzino. Inaccettabile che pensino di poter mettere delle scale rosse in un cortile del ’500». È infatti un progetto ancora in stand-by, mentre Prada, a Ca’ Corner, ha concluso «una ristrutturazione davvero rispettosa, dice Settis, «eppure l’architetto è lo stesso: Rem Koolhaas».

La questione, secondo Fabrizio Rossi Prodi, docente di composizione architettonica a Firenze, «è pensare i luoghi e non gli oggetti. Occorre progettare lo spazio pubblico, prima che i volumi e gli edifici». Per cui anche il Palais Lumière di Cardin può andare bene «ma non certo lì», a Marghera. La questione, infatti, «non è del moderno e dell’antico ma dei buoni o cattivi progettisti e committenti», essendo l’architettura «un linguaggio che usa parole consegnate dal passato e sempre variate, in modo progressivo».

Il paesaggio urbano è off-limits per le ruote panoramiche, che girano invece a Londra e in altre capitali. Nel 2010 l’idea di farne una nel Parco Sempione a Milano provocò una sollevazione, idem nel 2012 un’altra proposta nel Parco Valentino di Torino, nel quale c’è peraltro un «borgo medioevale» costruito nel 1884 per l’Expo. L’ultima polemica riguarda il progetto di piazzare una ruota sull’Isola di San Biagio, a sud di Venezia. Vade retro, sebbene lì fumasse, fino a pochi anni fa, un inceneritore.

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Giampaolo Cerri