Yves Klein in un'immagine del 1957
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Klein e Fontana in mostra a Milano

Dal 22 ottobre al Museo del Novecento oltre 90 opere dei due grandi artisti

«Fontana! Piantala di fare i tagli»: firmato Lucio Fontana.

A sbirciare sul retro dei suoi quadri ci sarebbe da sorridere: per le tante scritte come questa, o per quelle sui politici («Il gigione numero uno dell’Italia, forse Fanfani»), o ancora per gli anagrammi su quanto è bello il sedere della Loren. Del resto, «pieno d’umorismo» era l’uomo, come ricordava Dino Buzzati. Ma il maestro dei «tagli» non era il tipo da dispensare ironia nell’arte. Sfogava il suo ghigno solo dove gli occhi non vedono.

Come anche faceva il «folletto» Yves Klein, dalle cui carte sono spuntati lazzi e vignette (su Domenico Modugno, o su Kazimir Malevic, per dirne due). Scherzi da backstage, però. L’arte per i due era una cosa seria. Ed è di questo rigore che darà conto la mostra al Museo del Novecento di Milano (dal 22 ottobre fino al 15 marzo), con oltre 90 opere a documentare la traiettoria incrociata di queste due luminosissime comete del secolo breve: «Klein - Fontana. Milano-Parigi, 1957-1962» (a cura di Silvia Bignami e Giorgio Zanchetti; catalogo Electa).

Occhio alle date però, perché non delimitano soltanto l’epoca dei loro incontri e scambi, sono anche i confini di un tempo strano, quello dell’era spaziale.

Per la prima volta nella storia, infatti, i pianeti affascinano le masse. Si è rapiti dai «dischi volanti» dei fascicoli Urania, arriva la fantascienza nei film. Le suggestioni piovono dal cielo, ma non solo nella fiction: anche nella realtà, perché poi arriva Yuri Gagarin che nello spazio ci naviga davvero. Dunque è questo immaginario che ha ubriacato le folle degli anni 50 e 60. Ma l’arte, che da sempre anticipa i tempi, già da un pezzo fiutava il mito di un «altrove» che odorasse di riscatto.

«La vera conquista dello spazio fatta dall’uomo è il distacco dalla terra, dalla linea dell’orizzonte» aveva scritto Fontana nel 1951. La scienza, più che la fantascienza, l’aveva concupito. Il meteorite rinvenuto in Somalia aveva ispirato le sue Nature; le immagini d’astronomia sulle riviste scientifiche facevano eco nei suoi «tagli» e «buchi». Qualche critico era stato fuorviante: «buchi del culo», «vagine»; per molti rappresentavano «provocazioni», la «distruzione dell’arte ». Invece erano l’opposto, spazi dotati di qualità plastiche. «Aperture di una dimensione ulteriore che precede la pittura», così le aveva definite l’artista, come a dire: fatevi un giro nella quarta dimensione, il mondo nuovo è qui.

Urgente rimedio mistico
Per Klein, invece, la destinazione era il nulla (o l’infinito)
, urgente rimedio mistico per una società sbagliata (ma perfettibile). I 1.001 palloncini blu liberati nell’aria, i salti nel vuoto, il progetto di un razzo ad aria compressa per un solo passeggero (ma anche lo stesso blu spirituale dei celebri monocromi): erano tutte partenze senza ritorno, filosofici biglietti di sola andata per trovare l’armonia del Cosmo.


Fontana mostrava lo spazio, Klein indicava la meta
Diversissimi fra loro, i due amici. Adepti di religioni differenti: la scienza per il primo, l’assoluto per il secondo. Per entrambi, però, l’arte era una sorta di occhio interiore rovesciato, uno strumento per l’illuminazione e la rivelazione. Un’ambizione irresistibile per chiunque, insomma, non soltanto per gli artisti. Ed è forse qui spiegato il segreto del fascino che ancora oggi avvolge questi due pionieri, e li rende immortali. Come il blu nei cieli di Giotto, o come quelle stelle già esplose da tempo ma di cui ancora ci arriva forte la luce.

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Antonio Carnevale