Jonathan Franzen è diventato l'ologramma di se stesso
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Jonathan Franzen è diventato l'ologramma di se stesso

L’autore di "Le correzioni" è ormai un tuttologo. Che risponde su Obama e Jobs. Sempre politically correct

di Jacopo Guerriero

Manca poco e poi non si sopporterà più Jonathan Franzen. O almeno quello che di lui rimane nella parabola da scrittore a icona che conosce sempre il segreto della fama. C’era una volta il grande narratore americano che scriveva, pensava e poi, con intelligenza, ti svelava il dietro le quinte di un’opera, i diversi registri, le immagini, i vincoli e le libertà licenziose dell’intelligenza narrativa. Oggi no, restano le interviste di un Alessandro Baricco globale, dall’Italia telefonano e gli chiedono di Obama e Steve Jobs. Lui, sciagurato, risponde con giuste risposte ed è sempre politically correct, c’è stato l’endorsement per Barack, educato e gentile, un sollievo liberal per tutti. Poi, quanto è sexy l’estetica dei suoi indumenti: nessuno, c’è da scommettere, è così capace di oscillare tra smoking e camicia a scacchi.

E però uno scrittore non è un guru. Michele Serra pensa male di Twitter e lo scrive, Franzen non ne ha bisogno. Ridateci l’autore di metafore sublimi e personaggi che ricordiamo, capaci di dolore, di esattezza, cartine di tornasole di quella quotidianità a stelle e strisce che sempre scorre e in cui siamo riusciti a ritrovare proprio tutto di noi: storie personali, ossessioni, esperienza, germi di visione del mondo. No, la semplificazione non è un altare cui inginocchiarsi. Si può parlare di Franzen e non è necessario schematizzare o pensare cheLe correzioni siano l’America di Bill Clinton, Libertà, quella di George Bush e poi, sul finale, arriva Obama. Che al nostro, diciamolo, ha solo dato il bacio di Giuda, perché adesso tutti si ricordano solo di quello, che il presidente è il lettore numero uno di Jonathan ma che c’entra, che ce ne importa?

La notizia è un’altra, la regola ogm vale per le carote, per i libri, ma soprattutto per gli scrittori: bene pubblico nominalmente indirizzato a mille scopi (tra l’altro: intrattenere, fare riflettere, sconvolgere o scandalizzare) ma che se si modificano in corso d’opera e scelgono un fine differente (orientare il gusto, giocare al grillo, spacciare la propria immagine di autore ipercool cui i fan rubano gli occhiali) si consegnano a un destino da ologramma di se stessi. E non ci piace.

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