Democrazia, ma il popolo ha sempre ragione?
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Democrazia, ma il popolo ha sempre ragione?

Oppure è un vecchio rimbambito come diceva Aristofane? Forse. A giudicare dal nostro presente che molto assomiglia alla Grecia del V secolo

di Giorgio Ieranò

Come trovare il leader giusto? Il problema se lo pone anche Aristofane nella sua commedia I Cavalieri (424 a.C.). Se lo pone alla maniera sua, da quel genio della comicità che era. La situazione è questa: Atene è nelle grinfie di un demagogo corrotto e ignorante. Egli tiene in ostaggio il Popolo, Demos, che Aristofane rappresenta come un vecchio rimbambito, bisbetico e credulone. Il personaggio del demagogo è costruito sulla figura di Cleone, che governò Atene per alcuni anni dopo la morte di Pericle nel 430 a.C. Cleone non era probabilmente così rozzo come lo rappresenta Aristofane. Ma al poeta piaceva dipingerlo così e, tramite l’invenzione comica, trasmetterci il suo apologo sulla democrazia.

E dunque, si domandano i protagonisti della commedia, come liberarci di Cleone? Idea: battendolo sul suo stesso terreno. Trovando uno ancora più volgare di lui che lo sostituisca nel favore del popolo. Così viene indotto a candidarsi un trivialissimo Salsicciaio, cioè, dal punto di vista dell’aristocrazia ateniese, sprezzante verso il lavoro manuale e il commercio minuto, il peggio del peggio. Il Salsicciaio si schermisce, dice di non sentirsi all’altezza di una carica governativa: "Non ho cultura, so solo leggere e scrivere, e pure male". "Questo in effetti è un guaio" gli risponde uno dei suoi sponsor. "Cioè che sai leggere e scrivere. Mettersi alla testa del popolo ora non è più cosa da persone istruite e perbene ma da ignoranti e infami". Alla fine il Salsicciaio si fa convincere. I due candidati si misurano in un dibattito pubblico. Vince chi supera l’altro per "furfanteria, impudenza e trucchi". Una forma particolare di elezione diretta del premier o di primarie senza ballottaggio. Il Salsicciaio trionfa e si ride, amaramente, sul destino di Atene.

Se ci siamo dilungati su Aristofane è perché uno sguardo all’Atene del V secolo può confortarci (o forse sconfortarci ulteriormente) in questi tempi in cui l’Italia va in cerca di un leader. Il problema della leadership è di antica data. Già ad Atene furono forse sperimentate tutte le soluzioni possibili (e anche quelle impossibili, come testimonia Aristofane). Proviamo dunque a scrutare il passato: chissà che non riusciamo a trarne qualche ispirazione.

Atene era, com’è noto, un regime democratico. Ma ciò non escludeva, anzi, che il leader si proponesse come figura carismatica anche attraverso l’uso sapiente di quella che oggi chiameremmo la sua immagine e mediante l’appello alle corde emotive della massa. Sapersi presentare come personalità d’eccezione, e persino costruirsi un’aura di eccentricità, aiutava nella scalata al potere. Come ricorda in un libro recente Pauline Schmitt-Pantel (I migliori di Atene, Laterza), lo stile di vita e la maniera di autorappresentarsi delle élite era fondamentale nel loro agire politico.

Alcibiade, racconta Plutarco, un giorno tagliò la coda al cane di razza con cui era solito passeggiare per Atene. Gli amici gli chiesero perché mai l’avesse fatto: tutta la città ne parlava, deprecando lo sfregio inferto a un animale così bello. Alcibiade rise. "Proprio quello volevo: che gli ateniesi parlassero della coda del mio cane. Così non diranno su di me cose peggiori". Alcibiade possedeva anche una scuderia di cavalli che trionfavano spesso alle gare di Olimpia. Potrebbe essere l’equivalente di quello che oggi è possedere una squadra di calcio: un altro elemento che accresce la popolarità di un politico. Strumenti modernissimi, dunque, di conquista del consenso. Con una retorica politica e assembleare che lascia le sue tracce fino ai giorni nostri. Alcibiade s’impone sul suo più anziano ed esperto rivale Nicia proponendosi come rappresentante dei "giovani" contro "i vecchi". Non sono cose che vi pare di avere già sentito? Per essere chiari: non diciamo affatto che, putacaso, Matteo Renzi è un nuovo Alcibiade. Alcibiade era un gigante, un personaggio carismatico, camaleontico, insondabile, amico di Socrate ed Euripide. Renzi è solo Renzi, e come amici ha Alessandro Baricco e Giorgio Gori. Ma una certa retorica politica improntata al nuovismo e al giovanilismo ha una sua lunga tradizione.

Per la rottamazione, in ogni caso, gli ateniesi avevano un strumento tutto loro: l’ostracismo. Se volevano liberarsi di un leader troppo ingombrante, scrivevano il suo nome su un coccio di argilla e, a maggioranza, lo mandavano in esilio per 10 anni.

Presso gli ateniesi più avvertiti, o più critici, c’era anche la consapevolezza del distacco tra democrazia formale e democrazia reale. "Democrazia a parole ma di fatto governo di uno solo" diceva Tucidide del lungo potere esercitato da Pericle, rieletto per 30 anni di fila alla carica di stratego. I suoi avversari riuscirono a metterlo in difficoltà soltanto accanendosi contro i suoi fedelissimi, come lo scultore Fidia, messo sotto processo con l’accusa di avere usato in modo disinvolto i fondi stanziati per costruire il Partenone.

Volendo continuare a giocare, si potrebbero trovare altre affinità. Forse perché anche noi, come l’Atene del V secolo, siamo ormai una società senza partiti strutturati su basi ideologiche, dove contano soprattutto i clan e i capopopolo?

Comunque sia, ora gli italiani, per mandare a casa una classe politica incompetente e corrotta, si stanno affidando non a un salsicciaio ma a un comico. Certi politici di governo per anni hanno fatto a gara a chi la sparava più grossa, a chi strillava di più nei talk show.

Ora si trovano davanti uno che le spara grossissime e che quando strilla rintrona tutti con i suoi «vaffa». Il Demos applaude. Come in Aristofane. Solo che questa non è una commedia.

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