Arturo Paoli, il prete scomodo: "Gli ultimi sono già i primi"
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Arturo Paoli, il prete scomodo: "Gli ultimi sono già i primi"

Cent'anni di sollecitudine verso gli emarginati, l’esortazione ad "amorizzare" il mondo, la crisi della Chiesa... Così parla il religioso che ha trascorso 13 mesi tra le dune del deserto

Che soffi vento bugiardo o che l’aria sia pigra per il caldo, la chiesa a Pieve Santo Stefano si riempie ogni domenica mattina, alle 10.30. Salgono la collina appoggiata a Lucca le auto, ne escono cattolici, laici, curiosi, ragazzi, donne, perché a officiare la messa c’è Arturo Paoli, le ossa invecchiate piegate da fargli toccare col mento lo sterno. Ma, quando comincia a parlare, i 100 anni che l’anagrafe gli ha messo addosso (il 30 novembre) si sbriciolano. La voce è forte. Gli occhi non conoscono opacità senile. E le parole hanno il sale dentro, pizzicano le parti escoriate mentre danno sapore al vivere.

Ha scritto 50 libri, ha speso la sua vita dando: in Argentina, Venezuela, Brasile, Italia (anche in politica, nell’Azione cattolica). È Giusto fra le nazioni per avere salvato centinaia di ebrei. Religioso, presbitero, fa parte della Congregazione dei piccoli fratelli del Vangelo.La pazienza del nulla è il suo ultimo libro, una ristampa dell’esperienza nel deserto vissuta quando aveva poco più di 40 anni: 13 mesi fra le dune, 600 chilometri percorsi e molte domande. Con una sola risposta: "Gesù, il mio amico".

Non bisogna avere fede per sentire l’onda d’urto sollevata da Paoli. Per entrare in crisi pensando ai suoi 100 anni di sollecitudine (parafrasando Gabriel García Márquez) spesi ad aiutare giovani, minatori, prostitute, perseguitati politici, scarti umani del mondo consumista. Un religioso molto amato dai laici, non sempre dalla Chiesa. Nel 2002, anno di debutto dell’euro, Arturo Paoli fu invitato a una tavola rotonda sul tema. Si presentò con un’ostia non consacrata: "In una mano avevo l’ostia, nell’altra 1 euro. Dissi: vedete, è rotonda, è uguale, solo che questa pretende di infondere la vita vera mentre questo infonde un progetto di arricchimento e quindi di dipendenza. Oggi c’è lo strapotere della finanza e il capitalismo è una statua con i piedi di terracotta. È un’idolatria fine a se stessa che non ha come meta l’esistenza umana".

Discorso complicato...
Il punto è sempre lo stesso: qual è il fine della vita? È di crescere nell’amore o in altri valori? Neppure gli uomini di Chiesa sanno vincere il nostro egoismo endemico, anzi, né ciò che il mondo greco chiamava «hy’bris» e i cristiani colpa originale. Ricordo un intervento di Emmanuel Levinas, studioso e filosofo ebreo, a un convegno gli chiesero di parlare di Gesù: "Sono tornato a leggere Isaia… e ho scoperto che Gesù sceglie l’estremo dell’abiezione, si fa sputare in faccia, disprezzare, per contrapporsi al superumanismo, all’hy’bris". Capisce? Continua ad amare anche nel disprezzo.

Lei stesso ebbe una crisi di fede. Il deserto la guarì.
Ci arrivai tardi, dopo una vita già intensa di impegno religioso, culturale, politico. Mi ero fatto sacerdote dopo la morte precoce di mia madre (io avevo 20 anni), donna di interessi politico-patriottici. Quasi contemporaneamente altre vicende di tipo economico colpirono la mia famiglia: mio padre dirigeva un piccolo laboratorio artigiano; la grande industria colpì molti artigiani, così frequenti a Lucca. Ricordo una piccola via che si snodava da piazza San Michele e pareva splendente di oro (era rame in realtà): sparì perché si dimostrò che il rame avvelenava mentre il suo sostituto alluminio era innocuo. In quel tempo amavo molto una ragazza: facemmo tanti sogni. La tisi, endemica allora, la portò via con violenza. Era un’anima musicale, ho imparato da lei cosa significa essere in armonia. Tutti questi avvenimenti sboccarono nella scelta del sacerdozio dopo la mia laurea in lettere.

E il deserto?
Non l’ho cercato, mi è venuto incontro attraverso la conoscenza dei Piccoli fratelli. Fui accettato malgrado la mia età avanzata e sebbene fossi troppo intellettuale per la semplicità della congregazione; mi accolsero per le mie idee e così feci il percorso del deserto.

Nel libro scrive che il deserto è necessario.
La religione che ci insegnano da giovani è piena di concetti, idee, dogmi e così, con l’età, la si abbandona. C’è anche chi riesce a vivere da subito senza religione, ma prima o poi le domande si presentano.

Quali?
All’inizio il deserto fu per me come una liberazione, avevo sofferto quasi l’eccesso di impegni. La vita troppo intensa non mi aveva dato il tempo di riflettere. Però, dopo pochi giorni, questo nulla mi aveva come portato via l’identità. Sparita la mia ragione di vivere. Praticamente vuoto perché si era dissolto il motivo fondante del mio sacerdozio e del mio vivere: la fede. Chi sono io?, mi ripetevo.

Ma lei era uomo di fede. Anche un laico viene spogliato di sé nel deserto?
Direi di sì, se viene meno la sua ragione di vivere: un grande amore, gli affari che precipitano, un lutto violento, la perdita del lavoro. Come colmare questo vuoto?

"Il deserto è il tempo in cui si sperimenta la morte" scrive.
Lo svuotamento. Il nulla, per l’appunto. Occorre silenzio. Il ricco si lamenta delle sue malattie, dei contrattempi, ma non si interroga sulla propria esistenza. Il non abbiente si misura con la fatica del vivere. Si scopre che il deserto non è solo un luogo ma la morte di progetti e speranze. La Chiesa ci ha sempre trattati da bambini, ci dà il catechismo, la fede, i dogmi da seguire. Occorre una grande riforma. Bisogna cambiare il metodo. C’è stato una specie di eccesso di razionalizzazione della fede mentre il Cristianesimo di Gesù è semplice: «Fa’ questo e vivrai. Ama il prossimo tuo». Sento che quello che Gesù vuole è che ci si interroghi sul senso dell’esistenza.

Ma se uno è laico, come la mettiamo?
Spesso una persona lascia la fede perché non ne trova il senso. Invece ci si può domandare profondamente il perché del vivere. Per esempio, Norberto Bobbio, che si dichiarava non credente, aveva su di sé uno sguardo molto acuto, profondo. Implicitamente ha raccolto un invito di Dio.

Una grande riforma, diceva. Come vede la Chiesa di oggi?
Meglio non parlarne. È in grande decadenza. Può essere una transizione perché, ricordiamocelo, è guidata dallo Spirito santo. In fondo, non ha mai portato alla luce la vera ragione d’essere di Gesù che è amorizzare il mondo.

"Amorizzare"? Un neologismo.
La Chiesa dovrebbe occuparsi di quelli che non contano, invece anche lì ha vinto l’hy’bris, ha prima di tutto accontentato l’uomo intelligente. Ha ecceduto in teoria mentre avrebbe dovuto mettere in pratica il vero progetto del fondatore.

Però interviene su molti aspetti del quotidiano, dalle coppie di fatto al sesso.
È molto attenta a questo mentre le sfugge di mano l’essenziale che è la carità.

Arriverà l’annunciato "papa nero"?
Non mi aspetto nulla.

E come vive il suo ultimo tratto?
Sono sempre alla ricerca di quello che può piacere al mio Amico. Credo perdutamente in questa amicizia: ho capito che non servono a nulla intelligenza, cultura, studi. Gesù non vuole che la religione diventi teoria. Io sono posseduto da Gesù e la mia unica paura è di non sapere riportare la sua parola.

Ogni domenica però la sua chiesa si riempie. Cosa cerca la gente che viene da ogni dove?
Non penso mai di parlare agli altri per convincerli. Cerco di riportare la mia esperienza di fede. Gesù non è una parola. Gesù è trovato da chi cerca di fare propria la parola di Dio.

Come vedono il presente i suoi occhi centenari?
Superficiale. Il consumismo ti occupa la vita in tutti i modi. "Non chiederti altro, prendi quello che ti mettiamo nelle mani" sembra dirci. Un presente arido. C’è un fumo, una specie di cortina protettiva. La Chiesa ha sempre aggredito le teorie contro la fede ma non è stata così aggressiva sulle teorie contro l’uomo. Si rende conto come ci hanno ridotti in questi ultimi 20 anni, spesso per proteggere interessi di singoli o di pochi?

Ci aiuti a capire, per favore.
Vorrei sentire dire "Proletari di tutto il mondo unitevi", è il più bel grido che si possa udire e che possa rappresentare la protesta in un momento di crisi come questo. Unitevi e sarete più forti.

Suona molto da socialismo cattolico.
Bisogna uscire dal proprio egoismo. E non parliamo dei nostri politici…

Parliamone, invece.
Sono degli impiegati che non hanno come priorità il bene comune. Sono come svuotati dalla missione, dal loro compito fondamentale. Spesso divisi, votano solo all’unanimità le leggi riguardanti i loro soldi. Nessuno che si alzi e dica: "Ma ce li meritiamo tutti questi privilegi?". La politica è una scienza, è una dottrina, è una specie di filosofia che oggi è sparita. E allora cosa resta? Resta la pratica di come usare il sistema economico a proprio vantaggio. Quel che oggi sento è che non si parte dall’uomo, dai suoi bisogni.

I giovani arrancano, sono sfiduciati. Cinici anche nei sentimenti e nel rapporto di coppia.
Il problema è la febbre sessuale che ha coinvolto le donne. Genera squilibrio. Già c’è l’uomo… Senza contare che, quando nascono problemi, raramente se ne parla pacificamente: "Perché hai fatto questo?"...

Non si può però andare tutti nel deserto per capire come comportarsi.
Certo, ma ci si può domandare: "Che ci sto a fare al mondo?". Perbacco, devi amorizzare il mondo, lo puoi rendere peggiore facendo il comodaccio tuo oppure contribuire a migliorarlo.

Lei lo ha migliorato sicuramente. Fra i tanti episodi, quali le sono rimasti incisi?
Un giorno venne da noi una coppia di sposi ebrei. Lei era prossima al parto, riuscimmo a ospitarla presso delle suore. Restava da decidere come sistemare lui.

Sembra il presepe anno 1943…
… La nostra residenza era al terzo piano, dalla finestra si vedeva il grande cortile. All’improvviso vedemmo arrivare le Ss, lo sposo mi raccontò che gli avrei detto: non avere paura, io ti salverò con la mia vita. Non credo di avere pronunziato queste parole, o almeno non ricordo. Lo nascondemmo dietro una porta a muro in una stanza zeppa di rifiuti e vecchi giornali. Uno delle Ss stava per scoprirlo ma fu richiamato da un collega. Andò bene.

Aiutò anche molte prostitute.
In Argentina, vivevamo in una favela e molto vicino a noi c’era una zona con tanto di cartello messo dalla polizia che invitava a non entrare. Un giorno venne una ragazza, una delle tante illusasi di fare cinema e invece finita a prostituirsi. Parlammo molto: mi colpì quello che mi disse, e cioè che gli uomini non cercavano solo piacere, volevano vendicarsi. Gli atti erano una specie di vendetta sul mondo delle donne.

Il deserto l’ha obbligata a spogliarsi di sé. Ora, con la crisi, si parla molto di rivedere la scala dei valori. Una nuova sobrietà.
La civiltà occidentale è costruita sul mettere. Il messaggio è: prendete. Pensi a quanta gente va al supermercato per comperare pane e pasta e poi riempie il carrello di altro. E questo è lo spreco, legge attuale. Togliere è un atto volontario. È la vita stessa che toglie quello che non è profondo, che è superfluo. Che cosa ci verrà incontro?

La morte...
Un cristiano vive pensando che alla fine ci sarà un rendiconto.

E gli altri?
Comprendere che le scelte possono pesare negativamente o positivamente. E che comunque amorizzare crea nella persona gioia e senso del vivere.

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Stefania Berbenni