A Prato l’arte cancella le ombre cinesi
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A Prato l’arte cancella le ombre cinesi

La città toscana non è solo la Chinatown d’Italia. Oggi punta tutto sulla cultura con nuovi, grandi musei d’eccellenza. E con i "segni neri" di Emilio Isgrò

Capannoni abusivi, fabbriche di falsi, immigrati stipati nello stesso bugigattolo a lavorare, mangiare, dormire, morire. Prato da tempo viene descritta come la «nuova Repubblica popolare cinese»: ex culla del benessere fuggito via con l’arrivo della Chinatown più grande d’Italia. Le cronache non difettano di spunti. Ma se la città fa notizia solo nel male, diventa difficile fare luce sugli aspetti virtuosi: le «ombre cinesi» cancellano tutto. E tutto viene annegato nel luogo comune. Per questo motivo sembrava quasi una scommessa eroica la mostra «Da Donatello a Lippi: officina pratese », ovvero la ricostruzione dell’età dell’oro nella storia dell’arte locale, quella manciata di decenni in cui i migliori talenti del nostro Rinascimento arrivarono qui per decorare il Duomo.

Roba per palati fini, disse qualcuno: non porterà pubblico, non ne parlerà nessuno. Invece in soli 4 mesi, dal settembre al gennaio scorso, quelle opere hanno attirato a Prato più di 60 mila visitatori, tutti in fila davanti al Palazzo Pretorio. Un successo non solo commerciale, ma culturale. Un primo messaggio lanciato e recepito: Prato è anche una città d’arte, ha una storia gloriosa, che può essere riconnessa con il presente, da subito. Adesso la città rilancia la sfida. A partire proprio da quel museo, Palazzo Pretorio, che al di là della parentesi per la mostra era chiuso da quasi 20 anni, e che ha appena riaperto in via permanente con la sua collezione storica.

Basterebbero i 7 riquadri di Bernardo Daddi con le Storie della Sacra cintola per giustificare una visita al museo. Capolavoro trecentesco, predella di un disperso polittico del più elegante allievo di Giotto, l’opera è fra le prime a offrirsi al visitatore. Poi s’incontrano i grandi polittici: di Giovanni da Milano, Pietro da Miniato, Mariotto di Nardo, Lorenzo Monaco. Ci sono Filippo Lippi e Donatello, le cui opere fanno eco a quelle realizzate per il Duomo. Ci sono Mattia Preti, Santi di Tito, Alessandro Allori. E c’è la sorpresa dell’ultimo piano, con un allestimento che non sfigurerebbe al Victoria & Albert museum di Londra, con le opere di Luigi Bartolini al fianco delle sculture novecentesche di Jacques Lipchitz.

Ma Prato rilancia pure con l’arte di oggi, con un progetto affidato all’architetto Maurice Nio. Un grande anello dorato estenderà a oltre 3 mila metri quadrati il museo Luigi Pecci per l’arte contemporanea, e sarà un modello polifunzionale, come quello del Centre Georges Pompidou di Parigi, che permetterà di far uscire dai depositi la ricca collezione permanente (Anish Kapoor, Sol Lewitt, Hermann Nitsch, solo per dirne alcuni) senza rinunciare allo spazio per le mostre temporanee. Aspettando la consegna della nuova struttura, prevista per la fine dell’estate, è stato chiamato a Prato un grande artista come Emilio Isgrò. Sabato 17, nella «Notte dei musei di Prato», il maestro delle «cancellature» inaugurerà il suo ultimo progetto («Maledetti toscani, benedetti italiani») con una «cancellazione in tre tempi»: un video nel vecchio auditorium del Pecci, appunto, poi una performance nel teatro Metastasio e una mostra (fino al 20 luglio) nel museo di Palazzo Pretorio. I segni di Isgrò serviranno a cancellare anche i luoghi comuni sulla città? Di certo sarà importante anche il segno dei cittadini: quello da mettere sulle schede per eleggere il loro sindaco il prossimo 25 maggio.

A Prato c’è ancora molto da fare, infatti. Riattivare la città significherà pensare non soltanto a far funzionare il museo di Palazzo Pretorio e il Pecci, ma anche attrezzarsi per valorizzare la rete di cultura diffusa che è già disponibile ad ogni angolo, fra il castello dell’Imperatore, la casa museo di Francesco Datini, il museo del tessuto, le diverse chiese (come la basilica di Santa Maria delle carceri, col suo prezioso fregio robbiano) e le altre decine di siti d’interesse storico e artistico. Le premesse per la rinascita ci sono tutte. La cultura, però, deve rimanere una priorità. Soltanto così il luogo che ha dato i natali ad Alessandro Franchi (sottovalutati i suoi affreschi nel Duomo cittadino) potrà vantare una nuova identità. «Spero che la città possa riprendersi la sua storia, e inventarne una nuova»: ha detto lo scrittore (pratese) Edoardo Nesi. Una speranza che è di tutti i cittadini di Prato. Cinesi compresi.

(Antonio Carnevale)

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