25 aprile: Mario e Lucia, partigiani. Mano nella mano da 70 anni
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25 aprile: Mario e Lucia, partigiani. Mano nella mano da 70 anni

Si sono conosciuti a Roma, durante l'occupazione nazista, e non si sono più lasciati

"Eravamo all'angolo di una strada: arrivano i carri armati tedeschi e noi li vediamo, siamo atterriti, sembrava che Roma venisse liberata e invece veniva occupata. Io la prendo per mano, è tutta la vita che la prendo per mano, e le dico: 'Nous sommes dans un cul de lampe'". Mario Fiorentini, 97 anni, gappista plurimedagliato, tre vite in una, umanista, partigiano, professore di matematica, ricorda così l'inizio della guerra civile italiana. Accanto a lui Lucia Ottobrini, 90 anni, la compagna di una vita con la quale il 16 agosto, nella ricorrenza dei 70 anni della Liberazione festeggerà 70 anni di matrimonio.

"Ci chiamano la coppia di volpi argentate", racconta lui, perché, "insieme abbiamo 4 medaglie d'argento al valor militare". Oltre che - spiega poi - cinque passaporti e diversi e innumerevoli nomi di copertura. Tantissime le azioni portate a termine insieme con lui comandante e lei vice del gruppo d'azione Gramsci della rete dei gap centrali di Roma diretta da Carlo Salinari. Tra le altre anche l'attacco al battaglione Bozen di via Rasella. I due, quando si sono conosciuti, parlavano tra di loro in francese. Lei, figlia di una famiglia di migranti del Molise, era nata in Alsazia dove aveva passato tutta l'infanzia tornando in Italia nel 1939. Parlava anche il tedesco e per questo - racconta Fiorentini - "era la partigiana più odiata da Kappler". L'incontro al concerto di una banda musicale. "Lei - dice Mario - aveva 18 anni. È stata una fiammata". "Un destino più che una fiammata", lo corregge lei. Che è diventa partigiana anche per amore di Fiorentini e ha dovuto abbandonare la sua famiglia per questo. "Quando mia madre ha saputo che ero contro i tedeschi - dice lei - mi ha dato tante botte e mi ha buttata fuori di casa perché lei lavorava in un ospedale tedesco, lei amava i tedeschi".

Insieme nella guerra partigiana, tanto che, sorride lei, "Io la sua pistola la portavo sempre nella borsa. Avevo sempre due pistole nella borsa, la mia e la sua". Lui una calibro 765, lei, una 625, una pistola "da donna", dice Mario confessando che sparava meglio di lui. "Ho sparato molte volte", ricorda la Ottobrini. Fiorentini, nonostante, come racconta, da soldato fosse antimilitarista, rivendica quella storia con orgoglio. La Ottobrini sembra voler solo dimenticare. "Non amo ricordare queste storie - dice - perché sono troppo brutte, mi fanno ancora male. Per me quel periodo è stata la parte più brutta della mia vita. La guerra è morte, per l'uno e per l'altro".

La guerriglia urbana a Roma è stata "fame, freddo, umidità e sudiciume" e "non avere dove dormire". "La mia fortuna è stata che ho incontrato sempre bravissima gente". Il 25 aprile 1945 erano separati. Lucia a Roma, Mario al nord, dove era stato mandato in missione. "Io - dice lui - ero in un lettino d'ospedale in Piemonte, vicino al Monte Rosa, piagato sul volto a causa del riflesso del sole sulla neve perché avevo marciato per 32 chilometri. Ma poi mi sono ripreso e ho partecipato alla sfilata di Milano con Cadorna, Longo, Mattei, Parri". Era il 6 maggio. Pochi mesi dopo Fiorentini torna a Roma e sposa Lucia Ottobrini. "Io - racconta - indossavo la mia divisa che era stinta e usurata. Lei si era fatta fare un vestito da una sarta con il mio paracadute". La fine di un incubo per Lucia che, mentre lui era al nord, aveva dovuto sopportare anche la notizia - poi rivelatasi falsa perché si trattava di un omonimo - che Mario fosse morto. La fine di un periodo tragico della sua vita, grazie al quale però, agli italiani è stata data la libertà.

"Cos'è oggi la libertà? Vuol dire essere onesti", dice sicura. "Bisogna essere onesti - ripete - e non si può vivere nel contrario delle cose. Assolutamente no. Bisogna lottare per le cose giuste". (di Alessandra Chini e Martino Iannone, ANSA)

I coniugi Mario Fiorentini e Lucia Ottobrini nella loro abitazione di Roma, in una foto scattata il 20 aprile 2015. ANSA/MARTINO IANNONE

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