"The Zero Theorem" di Terry Gilliam a Venezia: il futuro è realtà e ci ha intrappolato
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"The Zero Theorem" di Terry Gilliam a Venezia: il futuro è realtà e ci ha intrappolato

Accolto da numerosi applausi e qualche mugugno il nuovo colorato ed eccentrico film del regista di Brazil: "Tramite internet abbiamo accesso a tutto eppure siamo separati"

Abbigliamenti in lattice dai colori sgargianti, pettinature esuberanti, auto simili a delle Smart. I lavoratori sono intenti a programmare al computer non si sa bene cosa muovendo un joystick, mentre li guida e li controlla con videocamere una sorta di entità superiore, Management, uomo dai capelli bianchi e dal vestito camaleontico. Il sesso è più sicuro perché è virtuale, si fa tramite collegamenti neuronali e una tuta rossa dallo stile elfico. Questo è il futuro prossimo, anzi, il presente, secondo Terry Gilliam. In concorso alla Mostra del cinema di Venezia, dove nel 1991 vinse il Leone d'argento con La leggenda del re pescatore, presenta oggi The Zero Theorem. Accolto dalla stampa con tanti applausi di ammirazione e devozione, non è mancato però qualche mugugno di disapprovazione.

In un mondo dove è difficile entrare davvero in contatto tra individui, c'è un uomo disperato e solo, Qohen Leth, mago dell'informatica che mal sopporta relazionarsi con gli altri, parla di se stesso al plurale e ha un unico desiderio: lavorare da casa per poter aspettare una telefonata che aspetta da anni, da parte di qualcuno che gli spieghi il senso della vita. Lo interpreta lo stupendo Christoph Waltz, che questa volta, in un ruolo dalle caratteristiche pù fragili e umane rispetto alle parti a cui ci ha abituato, non tocca i livelli eccelsi di Bastardi senza gloria e Django Unchained.  

La stramba visione di Gilliam ha il suo inconfondibile tocco barocco e non può non richiamare alla memoria il suo capolavoro Brazil (1985). "The Zero Theorem ha più rapporti con Brazil di quanto non pensassi. Il futuro è diventato realtà, ci ha sorpassato e imprigionato: questo è un film sull'oggi e su come siamo impigliati nella tecnologia", sostiene il maestro britannico, solare in camicia vistosa. "Qohen è un uomo per cui la vita ha avuto il sopravvento, è isolato. Il mondo delle grandi corporation divora e le persone hanno paura di fare domande perché temono di perdere il posto di lavoro".

L'ossessione di Qohen è capire il senso della vita ma, intrappolato in questa fissazione, finisce per non vivere. Non prova nulla, anche il cibo per lui non ha più sapore. A sua insaputa Management, interpretato da Matt Damon, dà proprio a lui il compito di dimostrare "The Zero Theorem", cioè che non siamo nulla e l'universo è inutile. Il sopraggiungere della sensuale ed estroversa Bainsley (la seducente Mélanie Thierry, al Lido con il pancione) sarà però un arcobaleno nella sua esistenza vuota.

"Io non amo la tecnologia, è un mondo lontano da quella che sono io", racconta la trentaduenne attrice francese, la cui intensità recitativa cresce man mano nel corso della narrazione. "Non ho neppure Twitter o Facebook e mi dà fastidio che ci si possa nascondere dietro un computer".

"Questo film racconta di come ormai tramite internet abbiamo accesso a tutto eppure siamo separati" spiega Gilliam. "La Primavera araba è stata possibile grazie ai giovani che comunicavano su internet. Le persone si nascondono ormai attraverso gli alias in un mondo in cui per essere accettati bisogna essere simili a un Dio. Trovo interessante vedere quanto le relazioni siano virtuali oggi".

Produzione low budget, è stata girata a Bucarest che permetteva di contenere i costi rispetto a Londra. "È stato fatto tutto velocemente e basandoci sull'istinto. Abbiamo trovato un mercato cinese fuori Bucarest con tessuti di bassa lega. Ci si sudava tanto dentro, Matt Damon se ne è subito accorto. Ma quando hai le persone adatte viene schiacciato tutto insieme e si può realizzare un film surrealistico a basso costo".

Meno riuscito di Brazil, la sensazione è che The Zero Theorem non possa essere sabato il Leone d'oro della settantesima edizione della Mostra. Nell'eccentrico parco umano messo in scena, uno dei personaggi più esilaranti è la psichiatra virtuale che ha il volto (truccato e con denti prominenti) di Tilda Swinton, che concede anche una seduta in rap. Nel cast anche David Twelis, Lucas Hedges e Ben Whishaw.

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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