Venezia 2012, con Kim Ki-duk ha vinto davvero il migliore
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Venezia 2012, con Kim Ki-duk ha vinto davvero il migliore

Pieta il film più folgorante e universale della Mostra del cinema. Non ha avuto rivali, anche per l'assenza di capolavori. Discutibile il doppio premio a The Master - Speciale Festival di Venezia

Si è chiusa la 69a Mostra del cinema di Venezia , un'edizione meno glam e più essenziale, ingrigita da un tempo piovoso ma non funesto come si temeva e da minori presenze e incassi (l'8% in meno, anche se il presidente Baratta si è detto soddisfatto: crisi domata). E inizia, puntuale, la solita piangina per il cinema italiano.
Per noi solo premi minori (con Daniele Ciprì e Fabrizio Falco ), Bella addormentata di Marco Bellocchio, tanto applaudito da critica e pubblico, eppure snobbato. Dal 1998 non arriva un Leone d'oro tricolore .

Ma diciamola per come sta: al Lido ha vinto davvero il migliore. Pieta di Kim Ki-duk non ha avuto rivali in un festival dove si è voluta celebrare la qualità anziché il divismo, ma che non ha brillato nel presentare film da consegnare all'immortalità.

Diverse sono state le pellicole interessanti tra le 18 in concorso , e tra queste anche Bella addormentata, sì. Ma solo Pieta è stato capace di colpire al cuore con temi universali e comprensibili e sensibili per un italiano come per un americano o un asiatico.
Paolo Mereghetti parla di "film discutibile" , forse non il migliore del regista coreano. Forse no, ma di certo con la sua carica di violenza fisica e psicologica e con la sua paradossalmente alta spiritualità è il più folgorante della Mostra.

Nelle giornate precedenti in sala stampa, a chi criticava a Pieta mancanza di cura in alcuni dettagli, Kim Ki-duk ha risposto con garbo e con umiltà, senza rimanere piccato dai giudizi negativi, dimostrando anche apprezzabili doti umane. E ieri sul palco della cerimonia di premiazione ha ringraziato intonando Arirat, una canzone coreana che parla della bellezza della campagna. "È un brano che noi coreani cantiamo quando ci sentiamo tristi, ma anche quando siamo felici. La tristezza e la felicità sono curve dell'andamento della vita" ha spiegato. Come si fa a non essere felici per la sua vittoria?

Più contestabile, invece, è il doppio premio a The Masterdi Paul Thomas Anderson. La Coppa Volpi non poteva che andare al magnifico duo d'attori Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix, premiando Phoenix ovviamente per la sua maestria interpretativa indomita, non per la sua simpatia (nei giorni scorsi al Lido in conferenza stampa ha disdegnato le domande rivoltegli, insofferente, fumando indisturbato tre sigarette). Il Leone d'Argento al film sembra però un po' eccessivo, visto che così l'opera sull'origine di Scientology, che comunque ha deluso, se ne esce dalla Laguna come il lavoro più premiato. Forse al suo posto poteva inserirsi Bella addormentata, per quanto l'argomento universale dell'eutanasia sia stato svolto guardando troppo alle isterie solo italiane.

La Coppa Volpi femminile alla giovanissima Hadas Yaron è davvero inaspettata. Lemale et ha'halal (Fill the Void) di Rama Burshtein, americana di origini israeliane che vive a Tel Aviv e che per amore è entrata nella comunità chassidica, è uno sguardo interessante sull'estremismo ebraico. Però non emerge poderosa e inoppugnabile l'interpretazione di Hadas, nei panni della diciottenne Shira, alle prese con la difficile decisione di sposare il marito vedovo di sua sorella appena scomparsa.

A guardar bene l'attrice che avrebbe più meritato sarebbe stata Min-soo Jo, la madre vinta dal dolore e improvvisamente scossa dalla compassione di Pieta. Ancora lui, sì, Kim Ki-duk.
Norma però dice che il Leone d'oro non può vincere altri premi. Ma il Leone d'argento sì? Sì. D'accordo, regole rispettate.

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Simona Santoni

Giornalista marchigiana, da oltre un decennio a Milano, dal 2005 collaboro per Panorama.it, oltre che per altri siti di testate Mondadori. Appassionata di cinema, il mio ordine del giorno sono recensioni, trailer, anteprime e festival cinematografici.

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