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Rock the Kasbah: Bill Murray lost in Afghanistan

Barry Levinson dirige un gioioso film-favola con un grande soundtrack. E un manager che scopre una cantante locale e la lancia con i brani di Cat Stevens

Rock the Casbah è un pezzo dei Clash del 1982. Punk rock. Inserito in un album intitolato Combat Rock e uscito anche come singolo. La canzone non c’entra col film. Però il film, che è molto rock e ha quasi lo stesso titolo della traccia a parte lo scambio tra “C” e “K”, è prossimo alla canzone. Nello spirito e nel grande correre della vita. Bill Murray ne è il simbolo. Come uomo e attore ancora prima del suo personaggio Richie Lanz, manager di musica rock mezzo fallito e forse mai stato grande, davanti al tour che lo può rivitalizzare.

In effetti il tour più bislacco e pericoloso che si possa immaginare, su e giù per l’inferno dell’Afghanistan a far esibire la sua improbabile cantante Ronnie (Zooey Deschanel, attrice e cantante anche lei) per le truppe americane. Tanto improbabile, quell’artista, che pure se la caverebbe con la voce, da mollarlo appena arrivata a Kabul rubandogli pure soldi e passaporto.  Ma la fortuna, da sempre nemica di Richie, stavolta non lo abbandona facendogli incontrare per la caso la voce celeste di una ragazza afghana, Saleema, figlia del capo di un villaggio Pashtun dove alle donne è proibito cantare, pena addirittura la morte.

Richie è capitato là trafficando armi per soldi e per nessun motivo al mondo vuole lasciarsi scappare la preda canora. Vuole portarla ad Afghan Star, una specie di X-Factor locale che spopola tra la gente come faceva, da noi, Sanremo negli anni Cinquanta e Sessanta, insomma tutti incollati alla tv nelle case, nei bar, per le strade, ovunque.

Per riuscirci deve oltrepassare il confine del pericolo, compreso quello rappresentato dal padre della ragazza e ovviamente dal sempre incombente inferno di guerra. Ad aiutarlo nell’intrapresa una guardia del corpo, mezzo delinquente mezzo mercenario, col nome di Bombay Brian e il volto di Bruce Willis; e una bella prostituta che si chiama Merci ed è interpretata da Kate Hudson, abbastanza innamorata di lui da voler cambiare vita e mestiere. Lo show, alla fine, ha inizio. Con felici presagi.

A dirigere tutto questo è Barry Levinson, un cineasta  che probabilmente ha dato il meglio di sé egli anni Ottanta, dall’esordio di A cena con gli amici (’82) a Good Morning, Vietnam (’87) e a Rain Man – L’uomo della pioggia (’88); ma che anche in fasi successive non è mancato a qualche episodio significativo come Bugsy (’91), Toys (’92), Sleepers (’96), Bandits (2001), Disastro a Hollywood (’08). Quasi sempre con attori di grande fama e popolarità, costantemente capace di costruire opere solidamente strutturate anche dal punto di vista spettacolare. Oggi ritorna con Bill Murray. In una pazza favola che riesce a entrare nel cuore del “fare musica” e a raccontare ciò che significa vivere nel segno della curiosità, della scoperta, dei nuovi paragrafi del suono e del rock’n’roll.

Già nei dialoghi un paio di citazioni da titoli sono addirittura esaltanti.

La prima sull’aereo che porta Richie Lanz e la sua strampalata cantante in Afghanistan. Lei è terrorizzata, sommersa e trafitta dagli sguardi di afghani con turbanti e occhi nerissimi, lui che dice a uno di questi: “la ragazza non porta mutandine”. Quello sobbalza, la ragazza piagnucola, Richie la consola con i Rolling Sones: “Baby, it’s only a rock’n’roll”. La seconda sulla decapottabile che corre tra bombe e spari nella forsennata notte di Kabul, Richie a bordo con altri quattro compagni di scorribanda che gli urlano ”Welcome to the Jungle” alla Guns N’ Roses.

Là capisci che il film è davvero rock e che questo Bill Murray lost in Afghanistan è autore di una performance tra le sue più amene, seducenti e ricche di prodigi espressivi.

Un apologo che fiorisce in commedia di gioiosa follia nell’inferno afghano, tra codici di comportamento stranieri decodificati dal rock capace di sfondare le frontiere. Così Richie s’ingegna diabolicamente per compiere il suo disegno sulla cantante Pashtun dalla voce siderale condannata al silenzio da motivi religiosi e costumi millenari: “Le faremo cantare, dice, pezzi di artisti dell’occidente convertito all’Islam, Jimmy Cliff e Cat Stevens per esempio”.

E di Cat Stevens, diventato oggi Yusuf Islam, arrivano attraverso Saleema (alla quale dà viso e voce l’attrice e cantante Leem Lubany)  le versioni incantevoli di Wild World e Peace Train. In un soundtrack da brivido che attraversa il film ancora con Cat Stevens (Pop Star), Marcelo Zarvos (Welcome to Afghanistan e The 4 Sacred Bonds), Isa Machine & LP (Torch), Jalal el Allouli, Youness, and Adil Meriouch (Pashtun Warriors), Harry Nilsson (Jump Into the Fire), Zooey Deschanel (Bitch), addirittura Bob Dylan (Knockin' on Heaven’s Door presa a prestito da Pat Garrett & Billy the Kid) e lo stesso Bill Murray che si abbandona ad una scatenata dissonante Smoke on the Water dei Deep Purple accompagnandosi con uno strumento locale davanti ad un’attonita platea Pashtun.

Insomma ce n’è abbastanza per divertirsi: con un film volutamente un po’ stralunato e stropicciato, in realtà di forte compattezza ritmica, sostanziale, cromatica. Bill Murray ne è il mattatore, ma gli attori che lo affiancano ne sono scorta e sostegno di molta sostanza.

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Eagle Pictures, Ufficio stampa Manzo Piccirillo
"Welcome to the Jungle!": Richie Lanz e i suoi compagni sulla decapottabile nell'infernale notte di Kabul

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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