Roberto Benigni, i 60 anni di un poeta incosciente
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Roberto Benigni, i 60 anni di un poeta incosciente

Un compleanno storico per il genio toscano. Un giullare innamorato dell'Italia e di Dante, che ha conquistato l'affetto di tutti mescolando talento, coraggio e il candore di un bambino

Un compleanno così non si può proprio ignorare. Primo perché la ricorrenza, 60 anni che scoccano il 27 ottobre, è di quelle che pesano, e poi perché a soffiare sulle candeline non è un personaggio qualsiasi, ma Roberto Benigni. Difficile riassumere la storia di un artista del genere, che ha girato film da Oscar e sciocchezzuole assortite, e lavorato con Federico Fellini e Andy Luotto, Walter Matthau e Mario Marenco. Un giullare felice di esserlo, a cui è capitato però di vedere un suo film accanto al Papa e di ricevere un pubblico encomio del Presidente della Repubblica. Uno che quando va in tv, con la stessa fanciullesca esuberanza spiega la Divina Commedia o bacchetta i leader politici. Un bambino di sessant'anni che, tra una farsa e uno sberleffo, è diventato una delle persone più "serie" e stimate d'Italia.

Si sa come succede, quando sfogli idealmente l'album dei ricordi di una celebrità: vorresti tanto essere originale, ma alla fine scegli sempre l'istantanea più conosciuta. Quella di Roberto è stata scattata a Los Angeles il 21 marzo 1999, quando il suo capolavoro, La vita è bella, ha vinto tre Oscar, tra cui quelli ambitissimi riservati al miglior attore e al miglior film straniero.

Per celebrare una personalità del genere, basterebbe soffermarsi su talento e simpatia, che ne hanno fatto ormai uno dei testimonial più efficaci dell'Italia nel mondo. In questo caso specifico, però, c'è qualcosa in più, e si chiama credibilità. Mi spiego meglio: oggi in Italia ci sono solo due personaggi pubblici che possono esaltare pubblicamente il valore della Patria, della Repubblica, della bandiera e dell'inno senza provocare una gamma di reazioni che va dal sopracciglio inarcato al tentativo di linciaggio. Uno è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e non c'è certo da stupirsene. L'altro è proprio Benigni. Perché? Com'è possibile che un comico spesso trasgressivo sia diventato il paladino dei valori più tradizionali?

Una metamorfosi oggettivamente sorprendente, visto che Roberto non è mai stato un tipo austero: tra i suoi "pezzi" più famosi, troviamo monologhi piuttosto coloriti come l'Inno del corpo sciolto, e happening televisivi rimasti epici come l'assalto a una sbalordita Raffaella Carrà (il programma era Fantastico del 1991, se non erro), dissertando sui vari modi di definire la vagina.

E allora, come la mettiamo? Il fatto è che, come tutti i personaggi inconfondibili, Benigni a volte dà l'impressione di essere sempre lo stesso; in realtà non è così, la sua carriera ha vissuto molti mutamenti, dagli esordi (trasgressivi solo per gli standard dell'epoca), quando collabora con Giuseppe Bertolucci e Renzo Arbore (con cui tra l'altro gira Il pap'occhio), al grande successo cinematografico, prima con il grande Masimo Troisi (Non ci resta che piangere) e poi da solo (Il piccolo diavolo, Johnny Stecchino, Il mostro). Poi arriva la consacrazione mondiale grazie appunto a La vita è bella, un'opera che è difficile commentare, come tutte le poesie: se arriva al cuore bene, altrimenti è inutile sforzarsi di farsela piacere per forza.  

Al film, tra l'altro, è legato un aneddoto surreale che sarebbe stato riferito dallo stesso Benigni. All'attore, che nel 1980 aveva suscitato un pandemonio di Stato rivolgendosi in diretta tv a Giovanni Paolo II chiamandolo scherzosamente "Woytilaccio", tocca una nemesi imprevedibile: il Papa polacco esprime il desiderio di vedere il suo film, e così il 10 gennaio 1999 Roberto si ritrova seduto accanto al Pontefice, durante la proiezione privata allestita in Vaticano. Poi corre a raccontarlo a sua madre, ma la signora Isolina non gli crede: pensa che sia una delle tante burle del figlio.  

Se fino a questo momento, comunque, avevamo registrato la normale evoluzione di un'artista, dopo La vita è bella è il pubblico a cambiare atteggiamento verso Benigni. Da un lato, le sue opere precedenti sembrano quasi rimpicciolite, schiacciate dall'enormità di quel capolavoro, e anche quelle successive (Pinocchio e La neve nel cuore) patiscono l'inevitabile paragone con il Film per antonomasia, la struggente favola ambientata incredibilmente in un campo di sterminio. Dall'altro, nella percezione generale Roberto diventa un altro, non è più un semplice commediante. Per pensare e realizzare un progetto del genere - questo pensa la gente - non basta il talento, serve di più. Una ricchezza interiore che non tutti fino a quel momento erano disposti a riconoscergli.

A un certo punto, insomma, gli italiani hanno smesso di giudicare l'artista e si sono affezionati all'uomo, al suo candore, alle scelte incoscienti e coraggiose. E se certe battute politiche non potevano che dividere, altre intuizioni hanno saputo conquistare anche chi non aveva mai potuto soffrire il Benigni style. Pazzie meravigliose, le sue: portare Dante e la Divina Commedia nelle piazze e in tv, e poi entrare nelle case degli italiani per raccontare la storia del tricolore, dei patrioti risorgimentali, dell'inno di Mameli. Ricordate? È successo nel febbraio dell'anno scorso, durante il festival di Sanremo. La stessa verve, lo stesso entusiamo quasi infantile che prima metteva nel canzonare i politici, adesso Benigni li spende per diffondere la cultura e la poesia, conquistando loro spazi mai avuti prima.

Potrebbe parlare a vanvera del più e del meno, e invece si sbraccia, suda, grida per ricordarci le nostre origini e l'assurdità di ignorarle o peggio, rinnegarle. Sembra davvero un fanciullo, che si rivolge a tutti e tutti contagia con il suo entusiasmo. Il risultato: uno share (60 per cento) che non si registrava neanche in Romania ai tempi del dittatore Ceausescu. Nessuna sorpresa, insomma, se la Rai ha deciso di allestire un nuovo evento, in programma probabilmente il 17 dicembre prossimo, durante il quale Benigni parlerà della Costituzione. Un'altra occasione per parlare in prima serata di democrazia, coraggio, libertà. Teniamocela stretta. Tanti auguri, Roberto.

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Alberto Rivaroli