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Prima di domani al cinema: perché guardarlo

Il film tratto dal libro di Lauren Oliver, guru della letteratura "young adult" mostra una teenager condannata a replicare le sue ultime ore di vita

L’ultimo giorno. Di vita. In piena consapevolezza dell’evento fatale ma senza capirne motivi e dinamiche. Mica una malattia. Piuttosto uno shock stradale, un’automobile ruzzolante sull’asfalto fradicio di pioggia e fumante di nebbie. Bum. Il botto del destino. Quello che travolge Samantha Kingston detta Sam (Zoey Dutch) che manco ventenne già si ritrova senza futuro.

Così pare, almeno, in Prima di domani (uscita in sala 19 luglio, durata 98’) che Ry Russo-Young, trentacinquenne regista newyorkese già un  sacerdotessa del cinema inquietante (You Wont Miss Me, 2009 e Nobody Walks, 2012) ha tratto da un libro come E finalmente ti dirò addio, andato a ruba tra i ragazzi, scritto da Lauren Oliver – americana pure lei di 35 anni – prima della trilogia Delirium che l’ha proclamata guru della letteratura (post)adolescenziale a struttura distopica.

La trama

Premessa necessaria ad un film tagliato su misura per piacere (forse da pazzi) ai più giovani, specie ragazze, impantanato nelle paludi spaziotemporali, fasciato di musica, allegria, aule scolastiche e tragedia su quello sfondo mistico-melanconico che attrae come pochi l’universo teen. Specie quando una della tenerezza, dell’intensità e dello smarrimento di Sam si trova in un pasticcio inestricabile come quello della giornata – il 12 febbraio, Cupid Day delle rose - che si conclude con la sua morte, ripetuta in loop senza motivi apparenti ma con un accanimento, un’ostinazione, una cattiveria degni di un apparato da tortura. Inutile cambiare il corso delle cose concludere la nottata nell’oblìo. Al mattino dopo, al risveglio, tutto il nastro si riavvolge e si ricomincia daccapo, stesse parole, stesse azioni, certezza dello stesso finale.

Non viva, non morta. E neppure è un fantasma perché interagisce perfettamente con gli altri. Ma quel lungo addio, quel transito esteso e dilazionato sulla linea di confine tra spirito e materia o chissà cos’altro consentono a Sam riflessioni nuove, lasciandole scoprire spazi inediti d’esistenza e d’amore, inducendola a compiere azioni dimenticate, represse o ritenute semplicemente superflue. Fino alla rivelazione conclusiva – che ovviamente terremo celata - in capo a quello che potrebbe essere davvero l’ultimo giorno. Senza repliche.

Il romanzo

Lauren Oliver racconta di aver scritto il romanzo (editato in Italia da Piemme e ristampato adesso con lo stesso titolo del film) integralmente sul suo BlackBerry durante gli spostamenti in metropolitana, perfezionandolo poi sul computer una volta auto-spediti per email i contenuti del telefono. Sembrerebbe una metamorfosi elettronica del metodo di scrittura made in Jack Kerouac col leggendario rullo di carta da telescrivente in On the Road. Ma è solo un lampo, una suggestione, anche perché si preferirebbe, qua, non miscere sacra profanis; pure con inalterata ammirazione e giusto riguardo per la scrittrice della Contea di Westchester, New York, diventata in pochi anni oggetto di culto per la generazione YA (abbreviazione usata per young adult) cui elettivamente si rivolge da autrice.

Neoromantico e dark tra suspense e turbamento

Il film, come l’universo distopico/letterario al quale s’ispira, vive soprattutto di palpitazioni, di misteriose forme narrative ad anello, cerchi eccentrici e concentrici, porte girevoli, sdoppiamenti e inseguimenti di sé. Darkissimo e neoromantico. Giovanile e appiccicoso. Profumato e acerbo. Se ne intuiscono la sfera destinataria e, probabilmente, la reattività di questa. Poco importa, magari, che il costrutto sia a volte congestionato e tumultuario, alcuni personaggi grigi, convenzionali o tagliati un poco con l’accetta. Contano, piuttosto, i grumi emotivi e commotivi che riesce a generare e modellare tra suspense e turbamento, anche quando il racconto non è del tutto risolto ma riesce egualmente ad attrarre, colpire e coinvolgere. Anche con le sue letture seconde e la sua morale del “vivere e godere ogni giorno come se fosse l’ultimo”; o il suo metaforico avvertimento attorno a quel ripetitivo “lasciarsi vivere” che è un po’ come morire.

Gli attori e le musiche

Belle e fresche le facce degli attori. Spicca ovviamente Zoey Deutch nella parte di Sam affiancata dalle amiche chiassose e problematiche Lindsay (Halston Sage), Ally (Cynthy Wu), Elody (Medalion Rahimi), dall’ancor più problematica – ma forse decisiva e sintomatica – Juliet (Elena Kampouris), dal boyfriend ruvido e spaccone Rob (Kian Lawley), dal tenero amico d’infanzia e da sempre spasimante Kent (Logan Miller). Musiche di lusso e selezione cólta, allineate al gusto più avanzato dei teenager con l’indie rock targato Joywave, l’urban londinese di Grimes, l’indie folk e dream pop nordirlandese di Soak, il pop rock di Tunji Ige, l’alternative del trio newyorkese Yeah Yeah Yeahs, il synth e dream pop firmato Empress Of, la fusione elettronica disco, hip e house di Shamir, le sonorità flottanti della indie band cilena Astro. Ce n’è abbastanza per fare anche la fortuna della tracklist.

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Eagle Pictures distribuzione, Ufficio stampa film Echo Stefania Collalto, Stefania Gargiulo, Giulia Bertoni, Ufficio stampa Eagle Pictures
Le quattro amiche: da sinistra Lindsay (Halston Sage), Sam (Zoey Deutch), Elody (Medalion Rahimi) e Ally (Cynthy Wu)

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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