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Parliamo delle mie donne al cinema: più che mai Lelouch – La recensione

Johnny Hallyday e Sandrine Bonnaire protagonisti di un film delicato e caustico. Un padre alle prese con le sue quattro figlie avute da altrettante mogli

Quattro figlie con quattro diverse mogli. Ragazze dai nomi bislacchi, Primavera, Estate, Autunno e Inverno. Più un’altra, a sorpresa, in arrivo da Cuba. Stagioni dell’amore e della geografia convulsa di Jacques Kaminsky (Johnny Hallyday), fotografo celebrato di vita e soprattutto di guerra e protagonista di Parliamo delle mie donne (in sala da 22 giugno, durata 109') di Claude Lelouch, ottantenne ancora da battaglia, più di cinquanta film alle spalle e una carriera passata a far discutere sulla natura del suo cinema. Fra apologeti e denigratori.

Un “bastardo” che a 74 anni non si arrende

Ma Lelouch è questo. Prendere o lasciare. Noi in verità prendiamo. Anche oggi, con questo film che esce tardivo e con un titolo italiano un po’ meno incisivo dell’originale Salaud, on t’aime (Bastardo, ti vogliamo bene) ma abbastanza invitante da farsi guardare con simpatia e affetto.  Gli stessi  che accompagnano la maturità di Kaminski, il bastardo oramai  74enne - proprio come il Johnny che lo interpreta - che ha già piantato in asso quattro mogli e adesso si appresta a fare lo stesso con la quinta al momento di comprare un lussuoso chalet sul massiccio del Bianco.

Il patatrac succede quando incontra l’agente immobiliare che glie lo vende e ha il volto e la natura dolcemente intriganti di Nathalie Béranger (Sandrine Bonnaire). Se non è colpo di fulmine poco ci manca. Fatto sta che lui congeda la moglie scontenta dell’isolamento rupestre e si mette a vivere – assai felicemente – con Nathalie.

Il tempo delle riflessioni e dei rimorsi

Ma c’è un’ombra, lunga e scura sulla sua vita. Prodotta dalle quattro figlie delle quali s’è spesso infischiato, che non vede praticamente mai e che, tanto per non fargli mancare nulla, lo odiano, specie per i trascorsi burrascosi imbastiti con le loro madri.

E adesso che è arrivato il tempo delle riflessioni e dei rimorsi ne sente la mancanza. Cosa che a chiunque lo conosca per il suo egoismo parrebbe il pentimento del coccodrillo meritevole di una sana punizione; non così, però, per il suo fraterno  e comprensivo amico medico Frédéric Selman (Eddy Mitchell) il quale, toccato da tanto sconforto e molto incline al conforto, ordisce segretamente la trama per far arrivare, una ad una, le ragazze alla corte montana del papà, dov’egli stesso è stato invitato per una vacanza.

Quella “fake news” che mette tutti in allarme

L’escamotage? Confessare loro una malattia terminale di Jacques, della quale lui stesso, come chiunque altro, è ignaro. Che poi sia una verità o una fake news è tutto da scoprire, né la storia, lasciando molti dubbi, lo rivelerà fino alla fine. Aprendo la strada alle angustie di ciascuno: delle figlie, naturalmente, che immaginano il padre morente; dello stesso Jacques che, rassicurato da Frédéric sulla sua salute (ma è davvero così?) sa che le bugie hanno le gambe corte e si preoccupa a sua volta della reazione delle figlie una volta che scopriranno l’inganno. E via così, verso un epilogo che difficilmente lascerà le cose come stanno.

Malinconica, nostalgica, ironica: una commedia francese

In fondo è una commedia. In alcuni momenti malinconica e nostalgica come solo i francesi, a volte, sanno essere. Altre volte si apre al motivo caustico, all’ironia, al passaggio ricreativo, sempre con garbo e con una certa eleganza, a volte con un retrogusto un po’ amaro. C’est le lelouchisme, poco da dire. Che tiene d’occhio i sentimenti lasciandoli qualche volta debordare dal loro alveo; senza che, però, il racconto stramazzi sotto il peso del sentimentalismo più evanescente e molliccio.

Garantiscono, in questo, anche gli attori. Le rughe e l’occhio felino di Hallyday ci ricordano il suo trascorso di rockstar ora ben recitante; e la classe di Sandrine Bonnaire spande una placida leggerezza sui passi più ruvidi e rischiosi del racconto. Virtù che appartengono anche a Mitchell e in buona parte a quella coralità femminile intensamente raffigurata dalle attrici brave e quotate che interpretano le figlie di Kaminski, Irène Jacob (Primavera), Pauline Lefèvre (Estate), Sarah Kazemy (Autunno) e Jenna Thiam (Inverno). Si rivede anche Valérie Kaprisky, frutto di una relazione cubana di Jacques all’epoca della Baia dei Porci, cui fuori stagione è stato dato il nome Francia.

Sulle ali di un’aquila e di una musica perenne

Sulla storia, per la verità, spadroneggiano altri elementi. Un’aquila saggia che vive nei paraggi della baita e pare reclamarne la proprietà nel suo regale svolazzare e lo sguardo inevitabilmente rapace; il breve ma nitido e venerabile inserto da Un dollaro d’onore (Rio Bravo) di Howard Hawks transitante alla tv con la mitica My Rifle, My Pony, and Me/Cindy cantata da Dean Martin e Ricky Nelson alla chitarra, dentro la scena anche John Wayne e Walter Brennan.

E già che si parla di musica è impossibile ignorare che la vicenda s’accompagni alle tracce di Louis Armstrong in coppia con Ella Fitzgerald perché amati e fotografati all’epoca da Kaminski; e ai brani non dimenticabili di Georges Moustaki morto nel 2013 in piena contemporaneità narrativa (e realizzativa) del film. Più funzionale e pertinente di così.

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La quattro figlie di Kamisky-Hallyday: da sinistra Inverno (Jenna Thiam), Primaversa (Irène Jacob), Estate (Pauline Lefèvre), Autunno (Sarah Kazemy)

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Claudio Trionfera

Giornalista, critico cinematografico, operatore culturale, autore di libri e saggi sul cinema, è stato responsabile di comunicazione per Medusa Film e per la Mostra del cinema di Venezia

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